Nel quarto capitolo dei Promessi sposi il Manzoni, parlando della vita precedente di fra Cristoforo descrive il mondo dell’epoca come quello dove “poter odiare ed esser odiati, senza conoscersi”. Quale descrizione migliore dei tempi dell’hate speech, dell’aggressività gratuita che pervade i commenti dei post sui social network, degli articoli sui siti di informazione online, nei forum? Vecchia e nuovissima questione, insomma, quella della difficoltà a frenare l”odio che corre tra le persone: ieri in una viuzzia troppo stretta, oggi in una Rete troppo grande.
Tra i moltissimi spunti raccolti all’Internet Festival, anche il decalogo per i social media manager alle prese quotidianamente con la marea montante di maleducazione, off topics, flame infiniti, nei loro spazi, redatto da Cospe. Suggerimenti nati da una indagine durata 9 mesi che ha fatto emergere la difficoltà di adattamento dei media al web e le sue regole, più o meno naturali. Coinvolti quattro direttori e caporedattori, 3 staff incaricati di community management (Il Fatto Quotidiano, Repubblica, La Stampa, perciò tra i più stressati e popolati), 3 esperti di social media strategy, 3 blogger di testate nazionali, 2 esponenti di associazioni attive nel settore media e immigrazione (ANSI e Carta di Roma), 2 organismi pubblici di tutela, il risultato è un messaggio che parte e in fondo arriva ai princìpi della professione: libertà di espressione, regolamentazione, ruolo dei giornalisti, l’obbligo di informare a quello di coinvolgere.
Hate speech: buona intenzione, ma l’esecuzione…
Il panel intitolato SilenceHate ha messo a confronto diverse esperienze di gestione di questo problema complesso, dove è prevalso un modus operandi collegato all’idea che si debbano promuovere buoni comportamenti da parte degli operatori e al contempo non debbano mancare varie strategie di reazione quando ci si trova di fronte a parole e discorsi intollerabili. Il cuore del dibattito è il progetto europeo biennale BRICKS, che ha promosso ricerche su giornalismo e migrazioni e percorsi di educazione ai media nelle scuole, in Italia, Germania, Repubblica Ceca e Belgio. Per questi paesi hanno parlato rispettivamente Martina Chichi, dell’associazione Carta di Roma, Sven Gantzkow, social media manager di WDR.de, Klara Kalibova, direttrice di Iustitia, un organismo che si occupa di diritti delle persone in Rete, Daniel Bonvoisin, esperto di educazione ai media in Belgio. Con in più il professor Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica dell’Università degli Studi di Milano, autore di un
libro fondamentale sull’argomento.
Forse, di tutti gli interventi a proposito delle responsabilità e il ruolo dei provider e dei media, le strade giuridiche e le iniziative educative delle scuole, è stato proprio Ziccardi a restituire un certo pragmatismo quando ammette che non può esistere una soluzione unica e definitiva e che tutto sommato non solo non c’è niente di male a bannare i maleducati, ma c’è da chiedersi se davvero siano utili i commenti:
Nei miei studi ho rilevato che soltanto di rado i commenti portano a un arricchimento dell’articolo del giornalista, quindi mi chiedo perché si dovrebbe sempre aprire ai commenti. Per questo non mi scandalizzano le posizioni di chi, come il National Geographic, ha tolto i commenti.
Alla posizione certamente eretica di Ziccardi, si aggiunge però un’analisi brillante sui come l’odio si è istituzionalizzato, perché i soggetti che dovrebbero combatterlo in realtà lo usano come valuta: ad esempio i politici.
Chi più ha follower li orienta contro chi lo critica: un modo di veicolare l’odio fatto da chi dice di volerlo contrastare.
L’odio online, considerando le caratteristiche di Internet – pervasività, persistenza – rischia l’immortalità. Strategie? Tre: controparola, diritto, tecnologia. E su questo si sono concentrati gli altri speaker, forse un po’ troppo leggeri nell’analisi del problema, che ha aspetti antropologici e tecnici pressoché inediti e irriducibili, ad esempio il senso di disinibizione che si avverte di fronte a un monitor rispetto alla presenza fisica (forse verrà meno tra alcune generazioni). Nel complesso il concetto di base è comunque giusto: per quanto radicato al contesto, l’odio online è un processo umano quindi modificabile. A patto però di non scordarsi mai che l’effetto amplificativo di Internet è neutrale (contrariamente a quanto affermato in platea al Festival, dove troppi giovani non conoscono abbastanza l’infrastruttura), cioè proietta tutto ciò che vi si ripone senza giudicare; la persona dotata di strumenti di comprensione, più colta, viene amplificata nei suoi valori; la persona incolta, incivile, priva di strumenti di comprensione, viene altrettanto amplificata, e spesso vince sul dibattito perché le persone intelligenti hanno generalmente più dubbi sulle loro opinioni e le difendono meno strenuamente.
Il decalogo
Questo decalogo è stato creato nel corso di un incontro europeo tra social media manager ed è curato da Cospe. Possono ispirare chiunque si chieda come reagire nei confronti degli haters.
- Definisci la tua policy e rendila pubblica. È fondamentale stabilire le regole dello scambio in una community. Queste regole devono essere semplici e chiare e quando vengono fatti commenti offensivi non esitarle a ricordarle all’utente. Prendere le decisioni in base a queste regole pubbliche permette di agire in maniera trasparente.
- Coinvolgi e valorizza la tua community. Fra i compiti principali del giornalista al giorno d’oggi trovare le notizie è importante quanto creare e gestire una community. Se i membri della community hanno un ruolo attivo e positivo, saranno più favorevoli a proteggerla dall’hate speech, riportando commenti offensivi e alimentandola con contenuti interessanti e pertinenti.
- Stabilisci e mantieni buoni rapporti con la tua community. Sviluppa una buona relazione con i membri della tua community, ad esempio, dando il benvenuto ai nuovi arrivati. È una buona idea promuovere relazioni positive e rispettose sin dall’ inizio.
- Prendi parte alla discussione. Monitorare e incoraggiare i commenti è una buona strategia per guidare il dibattito e influenzare positivamente gli utenti. Fare una domanda può anche guidare gli utenti nella loro partecipazione online.
- Favorisci i buoni esempi degli utenti. Premiare i commenti ben espressi/utili/incentivanti è molto importante: mostra il buon esempio di altri e incoraggia gli utenti timidi ad esprimersi. Ci sono diversi modi per premiare il commento: è possibile individuare il “commento della settimana”, o fotografarlo e ripubblicarlo sulle tue pagine sui social media.
- Condividi le esperienze positive con i colleghi. Al fine di coinvolgere sempre più i colleghi nei temi della moderazione e mostrare loro i benefici di una gestione ben fatta dei commenti, condividi con loro eventi particolari avvenuti nella community e le domande pertinenti che hanno alimentato le conversazioni.
- Usa l’ironia e la creatività. Usare l’ironia e l’autoironia nella moderazione e nel rispondere a commenti offensivi ed hate speech può essere un
mezzo efficace per sciogliere le tensioni e tenere la discussione sotto controllo. Sii creativo nella gestione della community e trova modi originali di ricordare ai partecipanti le regole. - Sappi sempre dove sei. Sii consapevole delle differenze tra i siti commerciali di social networking e le pagine dei media. Sviluppa pratiche di moderazione e standard di commento per ogni tipo.
- Distingui tra conversazione pubblica e privata. Per mantenere i commenti pubblici meno tesi a livello di toni e contenuti, considera la possibilità di isolare l’hate speech attraverso contatti privati con coloro direttamente coinvolti. Puoi per esempio proporre scambi privati via email o telefono.
- Prendi le tue decisioni. Non aver paura di prendere tutte le misure necessarie per fare sì che le regole della comunità vengano rispettate, per
esempio, bannando gli utenti che postano ripetutamente commenti razzisti e violenti.