"Oil Sands", Babelgum punta sul documentario

Mentre Joost arranca tra un problema e l’altro essendo costretta anche a dichiarare che ormai punta unicamente sul mercato statunitense lasciando da parte quello internazionale, Babelgum sembra prosperare.

L’impresa di Scaglia ha delle obbligatorie ambizioni internazionali e non può in nessun modo nascondersi dietro l’alibi del nazionalismo. Dunque dopo il concorso di cortometraggi patrocinato da Spike Lee ora arriva anche la prima produzione proveniente da plurilodato e citato fondo da 15 milioni di dollari.

Si chiamerà Oil Sands e sarà come annunciato un documentario di carattere ambientalista che prenderà di mira ciò che accade nella regione dell’Alberta in Canada, e nello specifico ad Athabasca, luogo nel quale le tensioni tra le popolazioni indigene e chi invece minaccia le risorse naturali stanno arrivando a saturazione.

Nonostante non sia celebrato quanto il numero uno, infatti, il Canada dopo l’Arabia Saudita è il più grande esportatore di petrolio. Si parla di budget nell’ordine dei milioni di dollari per un documentario che poi andrà su Babelgum in clip da 15-20 minuti. Dovrebbe essere pronto per fine estate.

Dove va Babelgum? Vuole diventare anche studio di produzione? No. Lo hanno dichiarato più volte anche esponenti diversi della compagnia e nonostante non ci sia mai da fidarsi degli executive, stavolta la loro affermazione sembra particolarmente plausibile.
Fare uno, due o dieci documentari per Babelgum è importante non per un ritorno economico (ancora non è dato sapere se e cosa faranno queste opere dopo il loro passaggio sul software di Scaglia) ma per un ritorno di immagine e per attirare utenti.

Il problema di Babelgum come quello di Joost è sempre lo stesso: avere contenuti interessanti. E se Joost fino ad ora la mossa migliore l’ha fatta ottenendo i diritti per trasmettere il campionato NCAA di basket, Babelgum sta lavorando nella direzione della produzione autonoma di contenuti valevoli.

E’ chiaro che poi il successo di questo sarà riuscire a convincere il maggior numero di persone (prima di averlo visto) che si tratti di un contenuto da vedere. Per questo scopo, trattandosi di imprese, pubblico e contenuti che vivono unicamente in rete sarebbe auspicabile una campagna di marketing virale come quelle che il cinema sta attuando ora. Certo il documentario Oil Sands non gode del richiamo e dell’hype di The Dark Kinght Returns ma lo stesso se è stato scelto bene l’argomento (e credo che sia stato fatto) già dopo le prime settimane di riprese la compagnia potrebbe essere in possesso di foto, clip e chicche da spargere in rete per creare attesa e rumore intorno all’opera.

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