Lo stesso sindaco di Londra ha definito il progetto «fantastico», sottolineando tanto il proprio feeling con Google quanto il proprio apprezzamento per l’idea italiana. E l’idea è quella di “The Cloud“, un progetto firmato Carlo Ratti con il quale il concetto di “cloud” dovrebbe prendere corpo nei cieli di Londra diventando simbolo della città, della modernità e del nuovo modo di pensare l’informatica.
Non si sa se The Cloud verrà realizzato o meno in occasione delle Olimpiadi del 2012 (il progetto è stato però già selezionato tra i finalisti nella corsa verso l’evento). Quel che conta, oggi, è il concetto. Quel che conta è l’idea che supporta l’intero design, poichè si uniscono in un progetto unico tanto l’architettura quanto il Web, facendo convergere due discipline attorno ad un prototipo che si propone di essere simbolo più che edificio. “The Cloud”, infatti, nasce come un progetto che coinvolge Google per portare nel cielo londinese tutto quel che la Rete crea, query dopo query, click dopo click.
Per approfondire tutto quel che circonda il progetto The Cloud ci siamo pertanto rivolti alla Carlo Ratti Associati, ove l’idea è diventata disegno e dove il disegno ne sublima la filosofia per tentare di diventare realtà.
“Ogni opera deve servire a qualcosa”: “The Cloud” sembra nascere come un monumento comunicativo/celebrativo. Ma di cosa, esattamente?
«The CLOUD nasce come simbolo forte per le prossime Olimpiadi 2012 e come nuovo landmark per la città di Londra: una struttura permeabile e leggera composta da sfere in ETFE illuminate da migliaia di LEDs controllabili come pixel per creare un display tridimensionale nei cieli di Londra alimentato da informazioni in tempo reale provenienti da tutto il mondo. Costruita attraverso un sistema di fundraising distribuito, the CLOUD sarà inoltre il primo simbolo di un’architettura bottom-up, costruita per volontà dalla gente e occasione per ognuno di partecipare in modo attivo alle Olimpiadi».
Quale genere di informazioni, e in che forma, Google intende portare sulla “Cloud”?
«Google ha deciso di prendere parte al progetto vista la forte affinità di The CLOUD con i loro obiettivi: rielaborare dati e informazioni per ridistribuirle in modo universalmente accessibile. The CLOUD funzionerà come un grande dispositivo di comunicazione a scala urbana, mostrando informazioni alla città. Google fornirà principalmente dati aggregati e anonimi relativi alle ricerche online effettuate dai londinesi, che saranno poi visualizzate sulla superfiecie di The CLOUD, come un barometro che mostra in tempo reale il mood ed il funzionamento della città».
The Cloud – Londra 2012
In che modo la Rete sta cambiando il modo di pensare l’architettura?
«Dieci-venti anni fa molti urbanisti e sociologi preconizzavano la fine delle città. Internet, si diceva, avrebbe portato con se’l’annullamento delle distanze e dello spazio. Per questo motivo nel 1995 George Gilder scrisse: “Cities are leftover baggage from the industrial era”. In realtà negli ultimi 15 anni le città hanno conosciuto un boom senza precedenti. La Cina, da sola, ha in programma di costruire più città di quante siano mai state costruite dall’uomo in tutta la sua storia. Come è noto l’anno scorso per la prima volta in assoluto la popolazione urbana del pianeta ha superato quella rurale. Che cos’è successo quindi? Nonostante la capillarità di Internet e delle comunicazioni istantanee su scala globale il mondo fisico ha conservato la sua forza e importanza. D’altronde noi siamo fatti di atomi, non di bit. Qurello che abbiamo scoperto quindi è che le reti non contrastano ma rinforzano le strutture spaziali esistenti».
L’architettura è una disciplina e la Rete è uno strumento. Nel progetto “The Cloud” si sposano le due cose arrivando ad un concept destinato a stupire ed a comunicare. Sulla base si questa esperienza: cosa deve imparare Internet dall’architettura e cosa l’architettura potrebbe imparare da Internet?
«La grande disponibilità di dati – in particolare “user generated content”, dati creati dagli utenti e condivisi sulla rete – ci permette di analizzare i territori urbani in modo nuovo, dinamico. Un esempio fra tanti: uno dei problemi della aree metropolitane odierne riguarda i sistemi di governance, che spesso non rispettano dinamiche del territorio. I singoli comuni esercitano il loro potere decisionale, ma manca una regia compessiva. Questo problema è ancora più accentuato nei paesi emergenti a causa dei grandi flussi migratori e della loro incredibile rapidità di urbanizzazione.
La mappatura dei sistemi urbani attraverso le nuove tecniche digitali ci può permettere di capire meglio la citta’e creare sistemi di governance più adeguati. In un certo senso si tratta di avere una maggiore aderenza delle strutture di governo al territorio».
Il personal computer si è ritagliato un posto fisso sulla scrivania, la tv è appesa al muro e gli elettrodomestici ambiscono ad una connessione alla Rete. Come cambieranno le abitazioni private rispetto ai modelli a cui siamo abituati?
«In futuro vedremo sempre più progetti di spazi “vivi”, che rispondono alle nostre esigenze in modo dinamico. Oggi il nostro ambiente costruito – città, edifici, oggetti – sta “imparando a parlare”… L’elettronica è ormai miniaturizzata e distribuita in modo capillare. In gergo si parla di smart dust, polvere intelligente. In un certo senso stiamo trasformando le nostre città in computer all’aria aperta».