Non solo deep web, siti non indicizzati, ma anche frequentatissimi social network possono essere considerati come piattaforme del terrorismo internazionale. Le Nazioni Unite hanno diffuso un report che cambia clamorosamente il punto di vista istituzionale rispetto alla sicurezza sulla Rete, chiedendo sorveglianza anche a realtà come Facebook.
Nel corposo documento, intitolato L’uso di internet a fini terroristici (PDF), l’Ufficio sulla Droga e il Crimine del palazzo di vetro cita dunque i social network come riferimento a cui porre particolare attenzione. Quella visione di poliziotti della rete che era parsa del tutto impropria nello studio europeo denunciato dall’EDRI, torna sotto l’egida del più importante organismo politico mondiale. Il discorso quindi si fa serio.
La relazione, notata per prima da Bloomberg tra la selva di documenti prodotti ogni giorno dall’ONU, cita apertamente Facebook, Twitter e YouTube come tre piattaforme che possono essere utilizzate per raggiungere un pubblico più vasto di potenziali nuove reclute:
Tali contenuti distribuiti storicamente a un pubblico relativamente limitato sono migrati su Internet, e possono essere distribuiti utilizzando una vasta gamma di strumenti, come i siti web dedicati, chat, forum, netzine, piattaforme di social networking come Twitter e Facebook, e siti di video-sharing o file sharing come YouTube e Rapid-share.
Fin qui, nulla da eccepire. Ma, come ha commentato subito un portavoce di Facebook ad AllThingDigital, in questo i social non si distinguono da qualunque altro tipo di piattaforma di comunicazione nell’era digitale:
Le nostre politiche vietano molto chiaramente il sostegno o la rappresentazione del terrorismo, di gruppi terroristici o singoli individui, e di tutti gli atti di terrorismo. Non c’è posto su Facebook per le persone che promuovano la violenza e dedichiamo notevoli risorse per evitare anche quei rari casi in cui queste persone cercano di sfruttare il nostro servizio per questi scopi.
Insomma, nelle 158 pagine del rapporto c’è molto di più, ovvio, ma la sensazione è che sui social si sia cascati nell’evidenza: oggi, con la diffusione di massa delle piattaforme social, è più facile trovare contenuti di un certo tipo, se li cerchi. Tuttavia, sarebbe anche bene evidenziare che per la medesima ragione è anche più facile trovare chi li cerca.
Ma la task force dell’ufficio ONU, finanziata dal Regno Unito e riunitasi a Vienna per rilasciare questo documento, ha scritto nero su bianco che «Twitter Inc. e Google Inc. sono stati identificati come conduttori primari della propaganda terroristica», invitando i Paesi a legiferare o ratificare le proposte suggerite dal consesso per scongiurare il cyber-terrorismo, passando per un rafforzamento della collaborazione transfrontaliera tra le forze dell’ordine.
E qui si casca nella questione delle tante proposte, quasi sempre bocciate, che in questi anni sono state fermate perché potenzialmente dannose della privacy dei cittadini. La preoccupazione per attacchi informatici a centrali nucleari, infrastrutture, spionaggio industriale di regimi aggressivi come Iran o Corea del nord – che si sospetta abbiano a che fare con alcuni casi di sottrazione di informazioni sul trattamento dell’uranio o progetti missilistici – spingono molti politici ad affermazioni molto ambigue, come quella della ministra austriaca Johanna Mikl-Leitner, che alla presentazione del rapporto ha detto che «la polizia e i pubblici ministeri avranno sempre più bisogno di usare Facebook e altre reti sociali per combattere il terrorismo».
Solo per quello?