Da alcune ore Papa Francesco ha aperto il proprio account Instagram. Lo si può trovare come @Franciscus. Di fatto c’è poco da stupirsi: l’iniziativa è in linea con quanto portato avanti nei mesi passati su altri social network, estendendo soltanto la portata attraverso quello che è uno dei principali luoghi di condivisione online del momento. Tuttavia l’aspetto interessante della questione è nelle spiegazioni di padre Antonio Spadaro, il quale ha voluto rendere trasparente il percorso di scelta e gli aspetti progettuali. Dietro un account tanto importante, infatti, v’è una riflessione approfondita e non soltanto la volontà di rispondere a quelli che sono i “trend” del momento.
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Il Papa su Instagram: perché?
«In realtà è da capire subito una cosa: Papa Francesco è già su Instagram. Nel senso che lo è da quando si è affacciato per la prima volta dalla loggia delle benedizioni, subito dopo la sua elezione». Ecco dunque un primo distinguo fondamentale: «Dobbiamo infatti comprendere che non siamo sui social network solo quando apriamo un account personale (o istituzionale), ma da quando gli altri parlano di noi e condividono nostre parole o la nostra presenza nei loro network sociali». Ciò modifica in buona parte quello che spesso è il concetto di iscrizione ad un social network, come se la propria identità fosse determinata e al tempo stesso si esaurisse soltanto in sé stessi. In realtà, spiega Antonio Spadaro, «la presenza più rilevante è quella che si deve ai tanti che postano e condividono immagini sui loro account personali». Ecco perché l’apertura di un account altro non fa se non completare una presenza che già era concreta, emanazione delle azioni di quel che si fa nel mondo offline e che tramite device e servizi giunge su di una repository pubblica online.
Il Papa dunque “sbarca” su Instagram a completamento di una presenza che era soltanto parziale. Il concetto di “presenza” in tal senso assume un significato profondo. La sua “praesentia” non va intesa come il ribaltamento di una “assenza” perché in realtà i due concetti non sono agli antipodi. La stessa assenza di Papa Francesco, infatti, ne certificava in paradosso la presenza, dandone quasi un significato e coltivando una tensione ed una ricerca: la sua assenza tracciava confini ben definiti, quasi a delimitarne uno spazio pronto ad essere riempito. Per le persone comuni l’iscrizione ad un social network è invece il ribaltamento di una vera e propria mancanza: mancando la manifestazione del sé, diviene necessario intervenire ed imporre una presenza, sulla quale costruire in seguito una vera e propria identità. Ma il Papa è il Papa, e la “mancanza” (accezione più assoluta del concetto semplice di “assenza”) non è certo qualcosa di ipotizzabile. D’ora innanzi la sua presenza è a tutto tondo un’automanifestazione, un modo per non rendere immanente l’esistenza. Viene colmato un vuoto: il Papa “c’è” su Instagram e su Instagram porterà il proprio messaggio.
Il Papa del popolo viene raccontato dal popolo che coglie non solo i gesti ma anche il contesto dei gesti dal di dentro. E in questo modo, appunto, il Papa è già in Instagram dall’inizio al di là di ogni ufficialità.
Il selfie è il messaggio
Entrare in un selfie è un errore di comunicazione proprio di un Papa troppo istintivo. Entrare in un selfie è l’impulso dell’uomo più che di un pontefice. Entrare in un selfie è una mossa di marketing. Entrare in un selfie significa cedere autorevolezza al cospetto delle nuove tecnologie che appiattiscono i rapporti e i verticismi. Entrare in un selfie è stato fino ad ora stigmatizzato dai più, come se il Papa non potesse trarre vantaggio alcuno da una mossa simile o come se volesse strumentalmente approfittarne per logiche di profitto e di “brand”. Ma dietro alle critiche più superficiali può esserci un percorso di buona volontà che, messa da parte la volontà di mantenere il fermo controllo sul messaggio, apre alle nuove logiche del coinvolgimento e dell’apertura.
Se politici e diplomatici fanno foto protocollari o dei cosiddetti baciamano, i giovani fanno i selfie. E il Papa accetta questa dinamica comunicativa. Perché? Perché è pastorale, adatta a chi incontra.
La scelta sembra essere dettata dai principi guida dello stesso Papa Francesco, al quale viene accreditata l’origine della scelta: «Il Papa ama far sì che i suoi interlocutori non siano passivi recettori di un evento, ma siano dentro l’evento comunicativo. Con una foto normale il Papa è protagonista e tu lo documenti. Con un selfie tu sei con il Papa protagonista di quell’evento». Si va ben oltre l’idea di un selfie come un autografo (dinamica oggi del tutto normale con qualsiasi cantante, attore o VIP): il selfie con il Papa non è soltanto compresenza, ma soprattutto compartecipazione. Continua padre Spadaro: «Questo non diminuisce affatto la sua autorevolezza, ma la vicinanza che crea, al contrario, la aumenta».
La fotografia è esperienza
Compresenza e compartecipazione, trasformando l’evento in un qualcosa che nella dimensione digitale può e deve trovare manifestazione. Ecco il ruolo del selfie, degli account sui social network e di altre attività online: espandere la “presenza”, moltiplicarne le opportunità di incontro e cercare su nuovi terreni le nuove possibilità pastorali. Le fotografie hanno in tal senso ruolo primario poiché la loro condivisione è la condivisione di un momento di vita. Con la fotografia viaggiano volti, emozioni e contesti: tutto quel che rientra nella cornice è frammento di una realtà evocata che, con un click, può arrivare ovunque risultandone moltiplicata.
Questa evoluzione tecnologica sta dando vita a una vera e propria rivoluzione della esperienza umana della fotografia che consiste nel fatto che oggi si può fotografare in qualunque istante della vita. E il gesto del fotografare è diventato — a volte in maniera ingombrante, certo — parte dell’esperienza di una udienza o un evento papale di qualunque genere.
Il ruolo della fotografia viene rilanciato, ma anche plasmato. La fotografia, infatti, non è più uno strumento della memoria, poiché gli archivi sono talmente profondi e regolati da algoritmi che difficilmente le foto riescono ad essere recuperate ed a raccontare troppe cose nel tempo. Tuttavia le fotografie stesso vengono ad avere un ruolo istantaneo fondamentale e, a differenza del passato, assumono più importanza nei momenti immediatamente successivi che non negli anni:
«Più che creazione di memoria, dunque, si tratta di plasmare l’esperienza e di condividerla. E qui troviamo una vera e propria cifra del pontificato: il realismo dell’esperienza e la forza e il calore della condivisione». Scatto, editing, condivisione: non sono un “secondo tempo”, ma sono una continuazione lineare dell’esperienza.
Come raccontare la Fede ai tempi di Instagram?
In un’epoca in cui tutte le religioni, in un modo o nell’altro, sono accantonate o tirate per la giacchetta, ecco che è venuto il momento di sperimentare le risposte prima ancora di aver capito quale sia esattamente la direzione giusta da intraprendere. Dunque se ancora non è chiaro come occorra raccontare la Fede ai tempi dei social network, quel che è chiaro è che non raccontarla sui social network sarebbe un errore a prescindere. Occorre dunque tentare, sperimentare, capire. Occorre riallineare i linguaggi e trovare le giuste forme espressive. Padre Spadaro ricorda che la Chiesa ha una tradizione millenaria con la “catechesi visiva” e dunque oggi deve solo trovare le giuste immagini ed i giusti hashtag poiché si trova ad affrontare un mondo nuovo ed in rapidissima evoluzione.
Di qui la scelta di aprire nuovi account. Di lanciare nuovi hashtag. Di aprire ai selfie, di moltiplicare le fotografie. Di favorire le condivisioni. Di abbattere muri antichi, e da tempo è proprio la Chiesa a ricordare a sé stessa che occorra farlo senza timori. Dietro ogni selfie di Papa Francesco c’è dunque una picconata alla ruggine stratificata sulle coscienze, più che alle tradizioni: c’è un’immagine nuova che viene costruita, c’è un’identità nuova che viene incarnata e c’è un nuovo account che nasce per consentire a tutti di condividerne il messaggio. Anche attraverso i selfie, perché no.