Una relazione che alcuni non hanno esitato a definire «imbarazzante», mentre gli estensori, ieri al convegno a Roma presso il Comando generale della Guardia di Finanza, parlano di un «atto rilevante». I risultati dell’inchiesta parlamentare sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in capo all’apposita commissione sono finiti nel mirino di Fulvio Sarzana, il noto giurista che dal suo blog ha criticato aspramente il documento. Secondo lui, si tratta di un testo prono agli interessi delle lobby e potenzialmente dannoso per la libertà di Internet.
Tra Sarzana e il presidente della commissione, il leghista Gianni Fava (già salito agli onori delle cronache per precedenti iniziative pro SOPA anche in Italia) non ci potrebbe essere una maggiore distanza. E nell’articolo del primo si riassumono i punti della lunga relazione conclusiva, approvata il 22 gennaio, che fanno gridare allo scandalo:
Tutte le informazioni ed i numeri forniti, sono mutuate da chi è stato audito, le cui identità sono riportate con nome e cognome. Si tratta nella stragrande maggioranza dei rappresentanti delle associazioni di tutela del diritto d’autore, ovvero di coloro che sono interessati a fornire una immagine precisa del fenomeno. Appare quindi utile, vista la moda del momento, effettuare il fact-checking sul rapporto conclusivo. La commissione, dando per buono quanto riportato da un soggetto nel corso di un’audizione, quantifica i danni derivanti dalla pirateria multimediale in 500 milioni di euro. Il dato peraltro è già stato smentito da altri studi.
La questione sollevata da Sarzana è semplice, e già sentita in altre occasioni. Si può dividere in due argomenti: la confusione tra pirateria e contraffazione, per cui una commissione che si deve occupare della protezione del made in Italy finisce per occuparsi anche di materie per cui, paradossalmente, assumendo l’interesse dell’industria si lavora per interessi economici d’oltreoceano; le diverse soluzioni proposte sono sempre tentate dalla regolamentazione forte della Rete, senza comprendere come il diritto alla cancellazione di alcuni dati non può tradursi in una richiesta digiuna dell’intervento di un giudice, mentre Fava e altri politici presenti in commissione tendono a considerare gli ISP, ad esempio, come destinatari perfetti di un provvedimento ordinario.
Questi due fattori (confusione e superamento delle decisioni di un giudice) sono da anni le due colonne portanti della visione contro la quale combattono movimenti di opinione in tutto il mondo. E che nella relazione sono definiti, con sublime paradosso, «intermediari della rete con un enorme potere di lobbying». Sarzana preferisce andare oltre, chiedendo alla prossima legislatura – che porterà a nuovi nomi all’interno di questa commissione, oppure al suo scioglimento e a un disegno di legge sulla base di questo lavoro – di valutare i dati della relazione e confrontarsi con altri studi internazionali che smentiscono le cifre inserite nel documento.
Non si deve, senza dubbio, giocare coi numeri quando si tratta di delineare la dimensione economica della contraffazione, i danni indiretti della pirateria, misurandoli con tutti gli effetti di eventuali risposte legislative. Le audizioni sono un buon metodo (e leggere la relazione aiuta a comprendere lo stato di grande difficoltà delle aziende che devono esportare dall’Italia), così come la parte dedicata ai problemi commerciali e fiscali è ben formata.
Il quinto capitolo, da pagina 232, sulla pirateria in Rete, cede invece a progetti di responsabilizzazione dei motori di ricerca («Potrà essere quindi il motore di ricerca a non restituire, fra i risultati della ricerca per quel file illegale, gli indirizzi attraverso i quali sia possibile arrivarvi») e degli Internet Service Provider già visti in passato e sempre bloccati per la loro pericolosità: una tentazione che torna a farsi viva, insomma, nonostante “Fava” e “SOPA” siano già state bocciate dalla storia.
È corretto considerare il grande danno economico, anche fiscale, derivante dal download illegale di file, ma allargare troppo lo spettro sanzionatorio può avere effetti censori, sia per la chiusura di siti che per l’accumularsi troppo facile di reati verso un singolo utente con pene dalle dimensioni paradossali. Come capitato al giovane Aaron Swartz.