Quando il progetto One Laptop Per Child è stato presentato, come molti altri fui preso dall’entusiasmo. Mi sembrava un’idea ottima, un’utopia che voleva farsi realtà, un esperimento intelligente e meritevole. Ogni minuto che passava, però, pensavo sempre di più a quel piccolo pc messo nelle mani di bambini delle aree più povere del pianeta e mi chiedevo: ma loro come vedono autenticamente quel pc? Cosa vedono in quello schermo? Cosa pensano? Cosa rappresenta per loro?
Mi sovvenne a questo punto un dubbio atroce: non è che stiamo regalando a quelle popolazioni un giocattolo sospettosamente pericoloso? Oggi, poi, il mio dubbio ha ricevuto una ulteriore conferma: quei bambini, quelli dell’Uruguay, del Peru, dell’Etiopia e del Ruanda (e altri) potranno su quel giocattolino divertirsi con SimCity.
No, a questo punto c’è davvero qualcosa che non va.
Mi auto-quoto:
esportare un modello economico significa in qualche modo legare un paese alla propria produzione; esportare un modello comunicativo significa in qualche modo vincolare il paese-cliente al proprio modello informativo; esportare un modo di pensare significa in qualche modo soggiogare il paese-utente al proprio modello razionale.
Esportare un computer significa dunque anche imporre un modello culturale
E’ di ieri la notizia per cui Electronic Arts in uno slancio di generosità ha deciso di regalare ai bambini dell’OLPC il suo famosissimo SimCity. Chi non ci ha mai giocato? Nasci come sindaco del tuo paese e poco per volta tenti di far crescere il sistema economico locale mettendo vigili del fuoco, scuole, strade e giardini pubblici. Poi cresci, cresci, cresci, fino a costruire i grattacieli.
Seriamente mi chiedo cosa possa comportare un gioco simile agli occhi di un bambino che attorno a sé vede solo povertà. Mi chiedo quali fantasie possano maturare nella mente di un bambino che vede parchi giochi e grandi laghi, ma che oltre quel piccolo schermo magari si ritrova tra polvere e siccità.
SimCity è un gioco divertentissimo. Ma bisogna essere in qualche modo pronti. Della mia esperienza su quel gioco ho alcuni ricordi precisi:
- facevo sempre grandi spianate, che tanto scavare costava poco
- il modello economico era virtuoso: ad un certo punto potevi spendere quel che volevi, tanto ti saresti arricchito comunque (cosa particolarmente vera, ma non nei paesi del terzo mondo ove vale regola contraria…)
- sprecavo fior di dollari negli impianti idraulici perchè creare un buon tubo era difficile e se non si collegavano tutte le case ad una fonte la crescita non avveniva (avercela nella realtà quella fonte, però…)
- le villette non rendevano: meglio i grattacieli. I parchi pubblici non rendevano: meglio le industrie ad alta densità. Le stradine si intasavano subito: meglio le grandi sopraelevate.
Una frase nel comunicato stampa EA scatena uno sconquasso interiore:
SimCity is entertainment that’s unintentionally educational
Ecco, è proprio di questo che ho paura: penso che SimCity sia un videogioco che, non intenzionalmente, insegna qualcosa. Ma temo, e spero che la storia mi smentisca, che non sia stato inserito senza dolo nel progetto OLPC. Il sospetto, per quanto magari infondato, è talmente grave che merita un secondo di meditazione.
La sensazione è che si stia compiendo una violenza. Sommessa, nascosta, ma precisa e mirata. Mi sembra che si stia forzando una direzione e si stia intaccando un qualcosa che andrebbe solo aiutato a stare in piedi. Il paragone è forse forzato e l’accostamento potrebbe a prima vista forse non reggere, ma intravedo in queste iniziative una nuova infida spinta coloniale.
Spero che eventuali commenti a questo post siano di insulto. Perchè spero sinceramente di sbagliarmi, di travisare, di esagerare.