Scriveva Pierluigi Battista sul Corriere della Sera nel suo spazio “Particelle elementari”, pochi giorni or sono:
Facebook sbanda sulla censura
Gentile Mark Zuckerberg, non vorrei urtare la sua suscettibilità e di conseguenza l’umiliante epurazione dal suo club Facebook , invenzione geniale quant’altre mai, ma non le sembra un po’ troppo aver trasformato il suo social network nel tempio della censura perbenista? Avete fatto della vostra misteriosa Sala dell’Algoritmo un ufficio passaporti del politicamente corretto: questo si dice, questo non si dice, questo urta, questo non urta.Ma perché? La Rete non doveva essere il grande sfogatoio della creatività anarchica, la nuova frontiera della libertà di espressione? E invece: avete sradicato un editoriale del «Foglio» in cui compariva ironicamente la parola «froci». Zuckerberg, proprio lei, così libertario e post tutto?
Il giornalista ignora evidentemente le dinamiche di controllo dei contenuti sul social network ed ignora altresì il modo in cui è possibile segnalare e far scomparire eventuali contenuti violenti o inopportuni. Non possiede una profonda conoscenza del mezzo, ma non lesina un attacco frontale e crudo, scritto a belle parole dalle colonne del principale quotidiano nazionale, mettendo la propria firma in calce ad un tentativo di educata delegittimazione di uno dei principali luoghi di aggregazione del Web. “Facebook sbanda sulla censura”, spiega con argomenti del tutto erronei. Ma l’informazione ormai è stampata. Ormai è letta. Ormai è assimilata dalla povera e vituperata casalinga di Voghera, costretta a bersi qualsiasi informazione in virtù del suo ruolo forzoso di “italiano medio(cre)”.
Tempismo perfetto, peraltro: l’editoriale giunge su carta nelle ore in cui Mara Carfagna lamenta (a ragione) gli attacchi subiti da alcuni utenti online e parte della classe politica torna a richiedere (senza alcuna ragione o ragionevolezza) “leggi speciali per il Web” come panacea alle violenze verbali che l’ex-soubrette ha dovuto subire. “Leggi speciali per il Web”, ancora, di nuovo. In recidiva. A volte anche il tempo, che notoriamente è galantuomo, regala però strane coincidenze, ed ecco che poche ore più tardi la violenza più pura ed essenziale giunge invece da Calderoli: il Vice Presidente del Senato attinge la lingua nel razzismo più lapalissiano, sputa ai media la propria sentenza proferita in vece di ruolo istituzionale e sghignazza per il coro di risposta atteso e ricevuto. La forza del contrasto è estremamente significativa.
Quali atti hanno le peggiori conseguenze? Parole d’odio proferite dalle istituzioni o atti di altalenante censura decisi da una community che invece di cancellare preferisce ignorare? Eppure i media tradizionali son pronti a scagliarsi in massa contro questi ultimi, elevati a sistema strutturato su cui legiferare in blocco, adoperando invece maggior tolleranza di lungo periodo per i primi. E nessuno osa ovviamente chiedere leggi speciali per i ruoli istituzionali (a meno che non siano per maggior tutela invece che per maggior responsabilizzazione), per i quali l’indignazione dura lo spazio tra una pubblicità ed un’altra di un palinsesto estivo.
Le pagine del principale quotidiano italiano si trova così intriso di semplice non-conoscenza, divulgando ulteriore disinformazione sulla Rete proprio in un paese che a causa del digital divide culturale sta soffrendo gravi problematici ritardi.
Le istituzioni si assumano le loro responsabilità. Ma se le assuma anche il giornalismo.