L’abitudine del password sharing è sempre più diffusa. Approfittando dei piani premium delle varie piattaforme di streaming audio e video, data la possibilità di accedere ai contenuti su più dispositivi contemporaneamente, amici e parenti condividono le loro informazioni d’accesso calmierando la spesa. Una pratica non ufficialmente prevista dai fornitori dei servizi, i quali solitamente specificano come l’accesso contemporaneo debba avvenire all’interno dello stesso nucleo familiare, ma nemmeno ostacolata: i big di settore – Netflix fra tutti – sembrano chiudere un occhio su un’abitudine ormai diffusissima. Eppure, secondo delle stime elaborate da Parks Associates, il password sharing potrebbe portare a perdite pari a 12.5 miliardi di dollari entro il 2024.
Poiché le piattaforme di streaming si moltiplicano offrendo un’esperienza sempre più frammentata, l’utente è costretto ad abbonarsi a più piattaforme contemporaneamente per ottenere un accesso vagamente completo ai cataloghi di punta di album e serie TV. Questa moltiplicazione delle sottoscrizioni, tuttavia, non è sostenibile a livello economico: il singolo appassionato rischia di spendere centinaia di euro ogni mese, se dovesse decidere di abbonarsi a ogni singola piattaforma di suo interesse. Così si fa sempre più popolare il password sharing: la spesa è divisa, l’accesso è completo. Entro il 2024 questa pratica potrebbe salire di ben 38% percentuali, rappresentando così un problema non da poco per i fornitori di contenuti.
Così come già anticipato, Parks Associates stima le perdite dovute al password sharing in 12.5 miliardi di dollari l’anno, sebbene la cifra non appaia propriamente esaustiva. All’interno di questi dati, infatti, il gruppo include anche i danni economici causati dalla pirateria, un universo tuttavia ben diverso dalla condivisione delle chiavi: il password sharing opera, al massimo, in una zona grigia non esplicitata dalle stesse aziende.
A quanto pare, il 27% dei nuclei familiari statunitensi farebbe ricorso a qualche forma di password sharing, un’abitudine che potrebbe rappresentare oggi una perdita di 9.1 miliardi di dollari alle società. Anche in questo caso, però, in questo calcolo viene incluso il mancato introito dovuto alla pirateria in senso stretto, come il download illegale o lo streaming su siti illeciti.
Allo stesso tempo Brett Sappington, Senior Research Director e Principal Analyst di Park Associates, riconosce nella moltiplicazione dei servizi la causa primaria del fenomeno.
Non si tratta di semplici ladri alla ricerca di contenuti da rubare, ma di appassionati di video che hanno la necessità di usare molti servizi differenti. I fornitori di servizi potrebbero tentare di raggiungere questi utenti con dei contenuti gratuiti supportati dall’advertising.