A seguito della forte polemica che ha coinvolto i gruppi che hanno negato il proprio supporto a Wikileaks (Amazon, PayPal, EveryDNS, Mastercard, Visa), le parti coinvolte stanno prendendo provvedimenti per tentare di recuperare la fiducia degli utenti che hanno visto in questa scelta un atto contrario ai principi con i quali Wikileaks si è attirato simpatie in tutto il mondo. PayPal, in particolare, ha voluto far chiarezza in parte per una questione di immagine, in parte per una questione di trasparenza ed in parte per tentare di scoraggiare gli attacchi a colpi di DDoS che stanno prendendo di mira il gruppo ormai da giorni.
Il comunicato è stato diramato per chiarire e completare quanto asserito da Osama Bedier, responsabile del gruppo, in occasione dell’evento LeWeb a Parigi. L’elemento base della scelta di PayPal consisterebbe nel fatto che entità terze e superiori hanno riconosciuto una colpa in Wikileaks e che, quindi, il gruppo si è trovato costretto a rispondere del proprio operato sia in caso di esclusione che in caso di partnership. Il gruppo ha voluto seguire fedelmente la legge ed i propri impegni in tal senso, ma la difesa di Bedier, pur se puntuale e sostanzialmente logica, potrebbe non bastare per cambiare di segno l’impatto negativo che la scelta ha determinato.
Queste le parole diramate da PayPal sul caso:
In qualità di servizio globale che smuove miliardi di fondi dei nostri utenti in tutto il mondo ed in ogni giurisdizione, ci è richiesto di seguire la legge ovunque. L’osservanza della legge è qualcosa che prendiamo con molta serietà. La Acceptable Use Policy di PayPal stabilisce che non si consenta a qualsiasi organizzazione che usa il nostro servizio di incoraggiare, promuovere o facilitare altri nell’intraprendere attività illegali. Questa policy è parte dell’accordo che abbiamo intrapreso con chi detiene un nostro account e con le compagnie che ci permettono processi di pagamento a livello globale. È inoltre una parte importante del nostro impegno al rispetto degli utenti e per assicurare che il nostro business continui ad operare in tutto il mondo.
Nel 2008 e nel 2009, PayPal ha già valutato e limitato l’account associato a Wikileaks per ragioni non correlate alla nostra Acceptable Use Policy. Appena ricevute le debite informazioni dal titolare dell’account, le restrizioni sono decadute.
L’account è stato rivalutato nuovamente dopo che il Dipartimento di Stato ha pubblicato una lettera su Wikileaks il 27 novembre, spiegando che Wikileaks potrebbe essere in possesso di documenti ottenuti in violazione della legge statunitense. PayPal non è stato contattato da alcuna organizzazione governativa negli USA o altrove. Abbiamo limitato l’account sulla base della nostra Acceptable Use Policy. Infine, la nostra difficile decisione si è basata sul fatto che il sito Wikileaks incoraggia le fonti a rilasciare materiale classificato, il che è il violazione con la legge.
Sebbene l’account rimanga limitato, PayPal consegnerà tutti i fondi rimanenti nell’account alla fondazione che raccoglie fondi per Wikileaks.
Capiamo che la decisione di PayPal sia diventata parte di una più vasta storia che coinvolge politica, legge e libertà di espressione. Nessuno di questi fattori è relativo alla nostra decisione. […]
PayPal non si nasconde, insomma: la decisione è una questione di mercato, una dimostrazione del fatto che il gruppo intende soltanto seguire la legge. Così facendo si scarica la responsabilità sul Dipartimento di Stato USA e si afferma un principio di neutralità al cospetto del modo in cui gli account vengono utilizzati: il gruppo si fa soltanto vigile avente in mano l’onere di far rispettare una legge che, condivisa o meno, è quella in vigore.
Una risposta dovuta, una risposta diretta, una risposta trasparente. Ma probabilmente non sufficiente, perché sul fronte opposto la sollecitazione era stata estremamente forte: «Posso usare Visa e Mastercard per pagare il porno e supportare i fanatici anti-aborto, i bigotti omofobici della Prop 8, e il Ku Klux Klan. Ma non posso usarle le carte e PayPal per supportare Wikileaks, la trasparenza, il Primo Emendamento e una vera riforma governativa» (Jeff Jarvis, 7 dicembre 2010).