La prima sentenza ufficiale del caso Facebook rivolta le accuse contro i querelanti e scagiona momentaneamente Mark Zuckerberg, il fondatore del social network open source, affermando che la causa altro non è che il tentativo dei due ex studenti di Harvard di strappare un accordo monetario.
Erano anni che Tyler Winklevoss e Divya Narendra cercavano di ottenere soddisfazione legale per quella che ritenevano una storia di furto di idee: secondo loro, il futuro fondatore di Facebook quando lavorava al loro modello di social network (Harvard Connect) si sarebbe ispirato al progetto ConnectU per poi fondare Facebook. Ma solo nell’ultimo periodo, da quando cioè Facebook è uscito dal circuito universitario ed è balzato agli onori della cronaca, i due si sono fatti sotto con insistenza per ottenere soddisfazione.
Tutto ruota attorno al concetto di social network open source dedicato al mondo universitario, ciò che ha fatto la fortuna di Facebook e che pare fosse un’idea originale del duo Winklevoss/Narendra, i quali però non essendo programmatori si erano dovuti affidare ad uno specialista, per l’appunto Zuckerberg. Sempre secondo gli accusatori il loro allora sottoposto avrebbe sbirciato il codice sorgente e il business plan per riutilizzare le idee a fini propri.
Eppure nella sua prima sentenza il giudice ha affermato che non ci sono gli estremi per un risarcimento e che la polemica sembra più un modo di strappare un accordo di risarcimento che una vera causa per furto di idee: «Le chiacchiere da dormitorio non costituiscono un contratto e quindi io ne voglio vedere uno» così il giudice avrebbe chiuso la questione ribadendo dunque non che non ci sia stato furto ma che non siano state fornite prove a supporto del fatto che Zuckerberg fosse tenuto a non riutilizzare ciò a cui lavorava o che fosse vincolato a loro.
A dare un po’ di colore alla storia giungono anche altri particolari, ovvero il fatto che i due querelanti (non programmatori) sarebbero dei canoisti che si preparano alle qualificazioni per Pechino 2008.