Suvvia, se vi fosse davvero un’intelligenza artificiale utile sugli smartphone, questa servirebbe a far scomparire quegli orrendi notch. Qualcosa del tipo: «IA, fai apparire la fotocamera», oppure «IA assumi le sembianze di un iPhone» invece del modello cinesone da 100 euro.
Sin dall’alba del primo telefonino con a bordo una neural processing unit, ovvero un cervello aggiuntivo piazzato al fianco del processore principale, il mondo ha esclamato un forte «ohhh». Marketing, solo marketing. «Il cellulare imparerà dai nostri comportamenti» ci dicevano. «Migliorerà giorno dopo giorno» sentenziavano. Ma il mio, sempre fermo li, non è che sia diventato più smart di quanto fosse prima, anzi, fa anche più fatica ad aprire alcune app oggi. Saranno che forse loro sono ancora più intelligenti del telefono stesso.
Sta di fatto che attualmente ci sono ben pochi benefici nell’acquistare uno smartphone IA, di qualunque marca e produttore. Il vantaggio, quello si, è per chi li produce, che ha alzato almeno di 150-250 euro il cartellino. Esagero se dico che è come andare da un venditore di auto, scegliere quella che sembra una Tesla e scoprire che sotto ha il motore e la meccanica di una tradizionale utilitaria? Forse no, lasciatemi spiegare.
La netta differenza tra un dispositivo con intelligenza artificiale e uno privo dovrebbe essere nella più veloce capacità di elaborazione dei dati. Ad esempio quelli di Huawei possono tradurre, con Microsoft Translator, frasi anche senza essere connessi perennemente alla rete. E che ce ne facciamo di un telefonino non connesso alla rete? Misteri.
Il ThinQ di LG o i Galaxy recenti di Samsung ottimizzano la resa fotografica per creare scenari migliori, in base a luce e ambiente, e offrire scatti degni di una macchina professionale. Poi ci pensano Facebook e Instagram a comprimere il tutto, prima di un upload. Queste compagnie ci stanno risolvendo problemi che non sapevamo nemmeno di avere.
Quello che gli smartphone odierni ancora non fanno, e dovrebbero, è nel realizzare molta più proattività di quanto si racconti. Le previsioni del meteo erano utili un’ora fa; l’aumento del traffico ben prima di mettersi in auto. Riceviamo così tante notifiche sui nostri telefoni e, il più delle volte, non sono le notifiche che vogliamo. Rari sono gli avvisi di cui abbiamo bisogno realmente nel momento giusto. I nostri telefoni contengono una vasta gamma di dati sulle nostre vite, dagli appuntamenti ai contatti, persino le liste della spesa. Non dovrebbe essere troppo complesso collegarli insieme. Alcuni assistenti già consigliano quando partire per giungere a destinazione; e perché non avvertono anche di un cambio di tempo improvviso? Perché Android e iOS sanno a che ora ho il volo ma non mi suggeriscono come vestirmi all’estero? Artificiale si ma poco intelligente.
Una parte dell’intelligenza artificiale e dell’apprendimento automatico ruota intorno alla previsione. Cioè, i telefonini prendono una serie di dati, imparano di cosa si tratta e predicono i prossimi passi possibili o cosa potrebbe essere meglio fare. È estremamente utile in fasi di test come il gioco Go ma il metodo potrebbe essere usato anche per simulare attività in mobilità. Che cosa sarebbe se il telefonino sapesse quale app apri di solito al mattino o dopo pranzo e la precaricasse in background per fare prima? Cosa se andasse da solo in modalità Aeroplano quando ci mettiamo a letto?
Huawei e Xiaomi hanno lavorato su questo tipo di IA “predittiva” ma poi hanno taciuto. Sembra che il focus si sia spostato esclusivamente sul riconoscimento fotografico delle scene, interessante ma non fondamentale. Del resto, gli esseri umani sono creature abitudinarie, quindi a volte è facile determinare cosa faranno nel tempo. Ma anche un tipo di previsione avanzata, una messa a punto delle prestazioni di assistenza, potrebbe contribuire a far sentire gli smartphone più intelligenti. E noi meno stupidi.
E allora…#buongiornouncaffo