Uno studio finanziato dalla MPAA, l’organizzazione americana dei produttori cinematografici, dimostrerebbe uno stretto collegamento tra pirateria e terrorismo.
Secondo questo studio, i gruppi di terroristi di tutto il mondo utilizzerebbero il canale della pirateria come strumento per finanziare le proprie attività.
Inoltre, il crimine organizzato, in generale, troverebbe particolarmente attraente l’attività di pirateria, i cui vantaggi sarebbero rappresentati dal basso rischio e dagli alti profitti.
I proventi illeciti che tali gruppi criminali trarrebbero dalla pirateria di materiale coperto da diritto d’autore e dal traffico di droga (non è troppo chiara la ragione per cui questi due dati vengano associati) si aggirerebbero intorno ai 3 milioni di dollari.
Come corollario di tale disastroso scenario, lo studio della MPAA evidenzia che, in alcuni casi estremi, l’influenza di queste organizzazioni dedite alla pirateria porterebbe a fenomeni di tangenti e di intimidazione di personaggi politici nei Paesi di riferimento, allo scopo di creare delle ‘aree di impunità’ per tali crimini.
È indubbio che studi di questo genere possano avere un fondo di verità, ma il fatto stesso che vengano commissionati da un ente così fortemente coinvolto nella vicenda non può che lasciare perplessi.
È evidente che si tratti di un modo, legittimo, per tentare di influenzare l’opinione pubblica generale, specie quella di chi non è troppo addentro a queste vicende (ad esempio chi non usa molto il PC), e magari per fare pressione anche su quegli organi politici chiamati a legiferare in materia.