Spesso le domande più banali si rivelano come le più complicate, e tentare di rispondere apre nuovi scenari. Fu la domanda di un bambino («cos’è l’erba?») a incantare il poeta Walt Witman e fargli scrivere “Foglie d’erba”, il capolavoro di una vita. Oggi una persona estranea all’era dei social network in cui siamo tutti intruppati potrebbe chiedersi “ma perché tutti usano Facebook?“. Ed è questa la domanda che si è posta l’Università di Boston, raccogliendo tutta la letteratura sull’argomento.
Facile chiederselo, vista l’incredibile popolarità di questo sito, prossimo al miliardo di utenti, più difficile è invece rispondere. Tanto che i ricercatori (tutti psicologi) hanno visionato ciò che era già stato scritto sull’argomento per poi elaborare un proprio modello che spiega l’utilizzo di Facebook come si trattasse dell’individuazione di una nuova malattia nervosa, identificandone anche le aree di ricerca futura.
Nel modello c’è spazio anche per una risposta – non definitiva – alla domanda iniziale. Secondo lo studio, esistono due fattori motivanti principali: appartenenza e auto-presentazione. Naturalmente, l’uso di Facebook è anche influenzato da numerosi fattori esterni, come background culturale, le variabili socio-demografiche, i tratti di personalità. I ricercatori, per fare un esempio, raccontano che le donne appartenenti a minoranze etniche tendono ad usare Facebook più dei maschi caucasici. Per ovvie ragioni le due forze motrici selezionate dallo studio non forniscono una spiegazione sufficiente.
ReadWriteWeb è tra i pochi riferimenti ad aver acquistato il volume e riprodotto alcuni contenuti e grafici, permettendo così di approfondire il lavoro dei ricercatori. I dati demografici molto originali di Facebook, che sin dall’inizio ha visto dominare neri e ispanici rispetto agli asiatici (contrariamente a quanto accadde a MySpace), rappresentano uno spunto di partenza, identificando quantomeno una unicità di approccio fondamentale nella formazione progressiva della community.
Ma la demografia lascia spazio alla cyber-psicologia nella parte più interessante del testo, che affronta e sistematizza questioni già note, come il rapporto fra narcisismo e uso del social network, capace allo stesso tempo di fornire elementi di autostima nelle persone timide e con bassi livelli di socialità. La presentazione del sé, infatti, era e rimane una componente fondamentale nel mix di ingredienti che insaporisce Facebook e caratterizza una parte essenziale del rapporto tra i singoli e la complessità del network.
La convivenza tra personalità molto diverse fra loro, che arriva talvolta all’interazione nei molteplici e per certi versi non pienamente consapevoli utilizzi delle immagini, dei profili e delle condivisioni, è la formula segreta del successo del sito:
«I frequentatori abituali di Facebook possono mostrare un alto livello di estroversione, bassa autostima, alti livelli di nevrosi e di narcisismo, ma anche contemporaneamente alti livelli di autostima e senso di appartenenza.»
Sono cinque gli studi considerati da Boston per quanto riguarda il senso di appartenenza, aiutando il lettore ad avere una visione complessiva dello stato dell’arte. Al momento, la maggior parte degli studiosi è concorde su un meccanismo duale (anche in questo caso): Facebook è nato in una cultura, quella americana, individualista, e premia i risultati di successo, la rappresentazione di sé, la collezione bulimica di amicizie. Ma nello stesso tempo, altre culture più collettiviste si sono integrate nel sito perché sostiene l’armonia di un gruppo di persone, la soluzione collettiva ai problemi e l’interazione tra cerchie ristrette di amicizie, aiutando anche l’autostima delle persone nella loro vita reale.
La necessità di auto-presentazione, l’altro fattore, è dovuta alle caratteristiche delle società odierne, nelle quali la costruzione del sé è rimandata più in là, non appartiene più esclusivamente ai luoghi ed agli enti tradizionalmente deputati (famiglia, scuola, lavoro, chiesa…), ma soprattutto deve essere continuamente corretta per rispondere alle esigenze esterne: bisogni indotti commercialmente, ad esempio. Così, il proprio sé reale e l’ideale si sovrappongono nel social network, abolendo per sempre la vecchia cultura dell’anonimato di Internet.
Per quale ragione, veramente, usiamo Facebook? Le conclusioni sono affidate agli esperimenti che in questi anni si sono susseguiti, anche da parte di noti giornalisti, che hanno rinunciato per settimane o mesi a Facebook registrando le proprie reazioni. La motivazione di fondo è partecipare, esserci dove le cose accadono nel momento in cui accadono.
E il fatto che questa appartenenza chieda molto dal punto di vista della privacy, alla fine, non ha dissuaso come ci si sarebbe potuto aspettare: il privato è sacrificato volentieri per nutrire il proprio essere sociale, ed è probabilmente da questa scelta che Facebook ha tratto gran parte della propria linfa vitale.