L’irresistibile desiderio di ottenere lo scatto più originale, magari sporgendosi da una scogliera o arrampicandosi sui cornicioni dei più alti palazzi, il tutto per ricevere gratificazione sui social. Situazioni rischiose che possono portare a esiti fatali, così come dimostra uno studio condotto dall’All India Institute of Medical Sciences: sempre più persone muoiono per i selfie. Sono ben 259 le persone che, dall’ottobre del 2011 al novembre del 2017, hanno perso la vita nel tentativo di memorizzare sullo smartphone l’autoscatto perfetto. E i numeri potrebbero essere addirittura sottostimati, così come sostengono i ricercatori, poiché non tutti i casi hanno rilevanza mediatica.
Pubblicato sul Journal of Family and Primary Care, lo studio ha voluto indagare quanto la mania dei selfie sia portando gli utenti, perlopiù giovani e giovanissimi, ad assumere comportamenti rischiosi. Nel corso di soli sei anni, ben 259 persone hanno incontrato la morte a causa di un autoscatto: chi cadendo da una scogliera, chi affogando nel momento di una foto subacquea, chi ancora non accorgendosi dell’arrivo a grande velocità di un treno sui binari. E non è tutto, perché la casistica comprende attacchi letali da parte di animali selvatici, colpi di arma da fuoco, elettroshock dal contatto con i cavi dell’alta tensione e caduta dai cornicioni dei grattacieli.
Un problema, così come evidenziano i ricercatori, non più relativo alla sfortuna o all’incoscienza di un numero ridotto di persone, bensì una questione che assume rilevanza pubblica e si ripresenta con costanza in ogni parte del mondo, indipendentemente da fattori come l’educazione, il benessere economico, la cultura locale e molto altro. Così spiega Agam Bansal, a capo dello studio, in un’intervista per il Washington Post:
Le morti da selfie sono diventate un grande problema di salute pubblica. […] Quel che più mi preoccupa è come questa causa di morte sia del tutto prevenibile. Sfidare il destino perché vuoi il selfie perfetto, perché vuoi tanti like e condivisioni sui social media come Facebook e Twitter: non credo valga la pena mettere a repentaglio la propria vita per questo.
Come già anticipato, le cifre raccolte nello studio potrebbero essere sottostimate, poiché non tutti i casi di morte per selfie ottengono rilevanza mediatica. E, per il 2018 in corso, si sono già purtroppo verificati dei nuovi e tristi episodi. Lo scorso maggio, ad esempio, un uomo è stato aggredito a morte in India nel tentativo di scattare un selfie in compagnia di un orso selvatico, mentre lo scorso settembre un giovane diciottenne è caduto da un dirupo presso il Parco Nazionale dello Yosemite, negli Stati Uniti.
Secondo i ricercatori, i dati dovrebbero suggerire un comportamento attivo da parte delle autorità, con l’istituzione di alcune “no selfie zones” per cercare di evitare, o quantomeno ridurre, le morti accidentali. Ad esempio, potrebbe essere imposto per legge l’obbligo di costruire barriere che impediscano l’accesso ai tetti e ai cornicioni del palazzi, nonché previste salatissime multe che fungano da deterrente in tutti quei luoghi dove non è possibile predisporre delle limitazioni fisiche. Un simile proposito potrebbe portare a risultati importanti, considerato come dei progetti spontanei siano già stati attivati in diverse parti del mondo: dal 2016 la città di Mumbai presenta 16 zone dove i selfie sono vietati, lo stesso accade in Indonesia, in prossimità dei punti più pericolosi per le escursioni nella natura. Qualche anno fa, invece, un parco naturale statunitense ha chiuso l’accesso di alcune zone al pubblico, dopo aver notato come molti visitatori fossero soliti disturbare gli orsi per scattare una foto ricordo.