Dall’Annenberg Innovation Lab giunge una ricerca (“USC Annenberg Lab Ad Transparency Report“) che mette in relazione il mondo della pirateria ed il mondo della pubblicità. Spesso e volentieri, infatti, i principali canali di pirateria si sorreggono economicamente grazie ai lucrosi introiti provenienti dai canali di advertising utilizzati: la grande massa di utenza raccolta è infatti all’origine di generose entrate, ma tutto ciò delinea un meccanismo che, proprio grazie all’advertising, va a premiare i siti pirata.
La ricerca mette in luce proprio le principali relazioni pericolose, sottolineando come grandi provider di pubblicità siano in qualche modo in stretta relazione con il mondo della pirateria. Nella top 10 compaiono peraltro due nomi noti quali Google e Yahoo.
La ricerca è stata composta annotando anzitutto i siti “pirata” da monitorare, e per far ciò i ricercatori hanno utilizzato il Google Trasparency Report per arrivare ai riferimenti segnalati in riferimento alle richieste di “takedown”. Per ogni sito è stato infine valutato il codice utilizzato per gli annunci pubblicitari, così da giungere ad una fotografia completa della situazione. Ne è scaturito un elenco dei 10 maggiori canali di pubblicità da cui il mondo della pirateria online trae beneficio economico (peraltro in evidente comunanza di interessi con i canali stessi di advertising, con i quali vige un sistema di revenue sharing):
- Openx
- Google (incluso Double Click)
- Exoclick
- Sumotorrent
- Propellerads
- Yahoo (incluso Right Media)
- Quantcast
- Media Shakers
- Yesads
- Infolinks
La ricerca sottolinea in modo particolare la posizione di Google: prima a segnalare come il mondo dell’advertising tragga nell’86% dei casi le proprie risorse economiche dal mondo della pubblicità, al tempo stesso il gruppo di Mountain View avrebbe difeso DoubleClick per il modo in cui contatta inserzionisti ed editori nel tentativo di evitare dinamiche simili. I ricercatori, però, sottolineano come DoubleClick valga soltanto per il 9% dei casi accreditati a Google e rimandano quindi alle prossime pubblicazioni in virtù degli sforzi promessi da Google nel portare avanti maggiori controlli su tutta la gamma delle proprie offerte di advertising.
Una ricerca per molti versi scomoda, che mette in luce i flussi che il denaro compie per arrivare nelle mani dei pirati. Ogni qualvolta si accede a siti che propongono materiale illegale, si alimenta tale dinamica e si sottrae denaro dai sistemi ufficiali di distribuzione di materiale protetto da copyright.
La ricerca approfondisce però soprattutto le fonti del danaro, nel tentativo di mettere con le spalle al muro quanti possano trovare oltremodo scomodo il vedere il proprio nome nella top 10 dei canali utilizzati dai pirati. La diatriba con Google sulla posizione di DoubleClick è il primo risultato apprezzabile, ma sono gli stessi ricercatori a rinviare ai prossimi aggiornamenti per fotografare nuovamente la situazione e valutare l’impegno delle parti in causa nel tenersi lontani da relazioni potenzialmente compromettenti.