Comincia a farsi avanti il movimento delle startup italiane che si sono registrate secondo i termini e requisti previsti dalla legge 221 per poter accedere al regime di vantaggio. I numeri stanno facendo discutere. Attualmente le startup registrate sono 307, distribuite in modo tipicamente disomogeneo lungo la penisola: quasi cento tra Piemonte e Lombardia, poche unità in Puglia, Campania, Abruzzo. Ma il quadro è incompleto per due ragioni: non tutte le startup rispondono ai requisiti; la legge non è ancora nota e mancano i decreti attuativi.
Certamente il report di Info Camere (PDF) scaricabile dal sito – lo stesso che in queste settimane ha fornito un’ottima guida per chi fosse interessato al sostegno di legge – rappresenta molto bene la situazione italiana attuale parecchio bloccata, ingessata dalla crisi economica e istituzionale.
Il governo dimissionario, formalmente in carica ma anche sottoposto a diverse pressioni quando tocca alcuni temi dell’agenda digitale, è responsabile solo di un tratto del percorso, quello dell’individuazione dei criteri e dei passaggi burocratici.
Purtroppo, sembrano essere svaniti i fondi, 70 milioni, promessi dal ministero dello Sviluppo e da Passera (nonostante continui a prometterli) e in questo momento il progetto startup italiano è frenato da questo paradosso: si chiedono alcuni piccoli sforzi burocratici a giovani imprenditori senza garantire un ritorno economico certo. In pratica, al momento è come se ci fosse una ulteriore “tassa” per potersi ufficialmente definire startup.
Il motivo è ben spiegato dal dibattito suscitato in Rete da alcuni protagonisti delle vicende di questi mesi, come l’on. Antonio Palmieri, che con il giornalista del Corriere della Sera Massimo Sideri commenta e chiarisce il numero giudicato scarso di startup al momento registrate:
@riccardowired @ymail @massimosideri Una legge per essere usata deve essere conosciuta e, inoltre, mancano in parte i decreti attuativi
— Antonio Palmieri (@antoniopalmieri) March 18, 2013
Norme un po’ ricusanti, cavallo di battaglia di alcuni osservatori critici, mentre Alessandro Fusacchia le ha sempre difese, che contemplano brevetti, titoli e fatturato come fattori premianti, se pur non obbligatori in toto; poca conoscenza delle norme e poco coraggio dei clienti principali di un certo tipo di startup, aziende e pubbliche amministrazioni (con le dovute eccezioni) hanno contribuito alla partenza timida. Destinata però a crescere col tempo.
Dal punto di vista geografico il Piemonte, con 50 imprese, è la regione che fa segnare il maggior numero di iniziative imprenditoriali innovative, seguita dalla Lombardia (47) e dal Veneto (39). Il Molise, al momento, è l’unica regione rimasta al palo. Il generale il centro nord fa meglio del sud, ma anche in questo caso l’anzianità delle startup e alcune caratteristiche hanno selezionato a monte privilegiando territori capaci di maggior turn over.
Il settore che attrae maggiormente gli startupper è quello legato alla produzione di software e la consulenza informatica, dove si contano 80 imprese pari al 26,1% del totale, subito seguito da quello della Ricerca e sviluppo (69 unità, 22,5%).