Pokémon a Central Park. Incidenti in auto causati da chi cerca Pokémon mentre guida. Gente che sbatte contro un palo mentre cerca Pokémon. Pokémon che appaiono agli Uffizi, in un bagno pubblico, su un murales, in casa, dal parrucchiere o nei McDonald’s. Pokémon rari, Pokémon rarissimi, Pokémon comuni, raduni di Pokémon, infezioni da Pokémon. E poi quelli che difendono Pokémon GO, quelli che lo considerano materia da rincitrulliti, quelli che lo provano per curiosità, quelli che ne rimangono “addicted”, quelli che lo combattono, quelli che li catturano, quelli che rivendono il proprio account, quelli che li cercano sulle mappe per non scomodarsi.
La chiamano “mania”, ma dietro all’immensa mole di notizie relativa a Pokémon GO c’è probabilmente qualcosa di molto più serio. Ed è qualcosa che ha tutti i segni di una situazione che si sta avvitando su sé stessa, un vortice sempre più coinvolgente e rapido. Una sorta di buco nero di emozioni e informazioni, entro cui tutto viene fagocitato fino ad arrivare alla possibile implosione. Non ci sarebbe nulla da stupirsi e non ci sarebbe nulla da dire in proposito se non fosse che di mezzo di sono milioni di persone e miliardi di dollari. Milioni di persone. Miliardi di dollari.
Pokémon GO, sindrome Tamagotchi
Chi ha preceduto i millennials ed è venuto al mondo prima che i Pokémon diventassero in tv un fenomeno per giovanissimi, ricorderà molto probabilmente quel che furono i Tamagotchi a fine anni ’90. La facilità e la semplicità di quel gioco era folle, ma era diventata una sfida collettiva per la sopravvivenza del pulcino virtuale. Allora come oggi la polarizzazione fu forte tra chi lo considerava un dogma assoluto della propria giornata e chi lo considerava una folle e noiosa perdita di tempo: entrambi, però, con la propria posizione polarizzata non faceva altro che riaffermare volta per volta l’importanza del fenomeno, dilagante per alcuni anni.
Tamagotchi era un gioco banale e noioso, ma si nutriva di empatia: conquistò le prime pagine dei quotidiani, le vetrine dei negozi, arrivò puntuale in Parlamento con una interrogazione, attivò le associazioni dei consumatori e antivivisezione, coinvolse il Telefono Azzurro, solleticò ministeri e partiti ed era pertanto sulla bocca di tutti. Eppure altro non era se non un pulcino di pixel che viveva, e moriva, all’interno di un piccolo display a bassissima risoluzione. Ma in piccolo si era accesa la stessa dinamica che oggi, moltiplicata, viaggia con il Web: il tema catalizzava attenzioni e chi intendeva approfittarne ci si gettava dentro. Il Tamagotchi era diventato tema collettivo, luogo di confronto per qualsiasi tematica, paradigma a cui rapportare qualsiasi argomento: dal politico al sociologo, dal giornalismo all’associazionismo, tutti avevano in qualche modo interesse a cercare le luci della ribalta laddove queste luci erano concentrate. La sindrome era così innescata: più si parlava di Tamagotchi e più il Tamagotchi si diffondeva; più il Tamagotchi si diffondeva e più se ne parlava. Il tutto era sempre più rapido e coinvolgente, ma con tempistiche rapportate ai mezzi di allora: la tv, qualche timido newsgroup, la radio, i giornali.
Ad un certo punto il fenomeno Tamagotchi sfumò. Sfumò con il crescere di quella generazione che lo aveva adottato, sfumò con la ripetitività del gameplay, sfumò con l’esaurirsi degli argomenti di quanti erano a favore e quanti erano contro. Sfumò, poco alla volta, poiché non riusciva più a colpire l’immaginario e lentamente il baricentro del dibattito collettivo si allontanò e virò verso nuovi gangli di adrenalina. Per i ragazzi dei primi anni ’90 il Tamagotchi è stato quel che Pokémon GO è per i ragazzi di oggi e in entrambi i casi il mondo adulto si è presto lasciato coinvolgere con uno slancio di curiosità e spensieratezza, quasi a voler condividere le emozioni della gioventù e per osmosi tornare giovane per qualche minuto ogni giorno.
Parabola Pokémon GO
La sensazione è che Pokémon GO possa essere giunto pressapoco già a metà della propria parabola ascendente. Impossibile prevederne il reflusso a priori, ma alcuni indizi possono indicarne sommariamente la mole.
Da una parte v’è l’esaurimento progressivo delle argomentazioni da parte dei media, i quali non trovano più temi validi da approfondire ormai da giorni e l’arrampicata sui vetri è già cominciata. L’inizio della fine sarà segnato probabilmente dalle analisi psicologiche dei “Pokémon GO addicted” e sulle terapie per la disintossicazione dal gioco. Inutile sorridere su questa facile previsione: ci arriveremo, e ci arriveremo presto, parta pure il conto alla rovescia.
V’è inoltre una questione di tempistica. I tempi degli anni ’90 non erano quelli odierni, che sul Web hanno visto accelerata la medesima parabola che portò i Tamagotchi sulla bocca di tutti nel mondo. La parabola ascendente è stata evidentemente accelerata e la caduta potrebbe dunque sopraggiungere veloce: qualche mese invece di qualche anno, insomma, per poi sfumare in cerca di nuove realtà similari (la realtà aumentata ha ancor molto da dire in proposito) o alternative (le promesse della realtà virtuale non moriranno mai). Paradossalmente la velocità di diffusione potrebbe essere tale da non consentire a Nintendo e Niantic una reazione composta e ben progettata, con il rischio di non riuscire a sfruttare appieno il fenomeno venutosi a creare. Oggi l’app è tra le più scaricate al mondo, i record di Candy Crush sono già stati bruciati e il passaparola deve ancora svolgere buona parte del proprio lavoro, ma il volume di parole spese sul videogioco hanno già raggiunto livelli raramente visti prima.
E poi c’è la Borsa, laddove tante belle parole diventano magicamente tanti bei milioni di dollari. Miliardi, anzi: le azioni Nintendo sono passate dai 17 dollari di inizio luglio ai 38 del 18 luglio, per poi stabilirsi poco sotto 35 in attesa di novità. Questo valore, infatti, fotografa un potenziale che ancora deve essere espresso e che l’accordo con McDonald’s ancora non basta a motivare.
L’introduzione dei luoghi sponsorizzati e la vendita di Pokemon GO Plus completano un mosaico ancora tutto da disegnare, ma in ballo ci sono oltre 10 miliardi di dollari di capitalizzazione in cerca di argomenti forti per sostenere questo livello di valutazione: agli azionisti la sindrome del Tamagotchi preoccupa, e non poco. Del resto chi ha acquistato le azioni a quota 38 dollari, investendo i propri denari in Pokémon sparsi per il mondo, non può che guardare con grande preoccupazione a cosa può accedere ora: tu le compreresti le azioni Nintendo al prezzo di 38 dollari? Pensaci e poi verifica il prezzo tra poche settimane.
Pokémon GO sarà il gioco dell’estate: bisogna rassegnarsi a nuovi e ulteriori casi di cronaca bislacchi determinati da persone in cerca di Pokémon nelle condizioni più assurde e con esiti a volte anche tragici; bisogna abituarsi ai Pokémon in prima pagina, tra una strage e l’altra; bisogna sapere che la caccia alla query “Pokémon GO” può fare la differenza nel traffico in entrata di un sito Web che si nutre di pubblicità. Bisogna farsene una ragione: quando un progetto diventa fenomeno collettivo non può che esserci qualcosa di estremamente buono nella sua ideazione, ma al tempo stesso un veleno virale entra in circolo creando dipendenza. Bisogna altresì avere consapevolezza del fatto che quella di Pokémon GO sarà una parabola probabilmente rapida, il cui vertice massimo arriverà probabilmente nei mesi autunnali (previsione che dipende in gran parte dai colpi di coda che gli stakeholder saranno in grado di affondare nei mesi successivi). Il merchandising, il gaming e la tv approfitteranno del colpo di coda dei Pokémon fino a spremerne ogni risorsa durante la corsa natalizia, quindi inizierà una fase di lento e progressivo fade-out, da cui Nintendo cercherà ovviamente di sfuggire con uno sforzo anti-gravitazionale immenso fatto di creatività e investimenti: cambiare per vivere, rinnovare per resistere, rilanciare per monetizzare.
Il punto di non-ritorno lo abbiamo comunque ormai identificato: quando si inizierà a parlare di “Pokémon GO addicted” tutto sarà compiuto: sarà il momento di cercare altro, altrove, per mettere in mano al mondo un nuovo giochino con cui dimenticare l’amaro del quotidiano attraverso una abbuffata bulimica di virtualità. Del resto è questo che si va cercando: non un pulcino da accudire, non animaletti da catturare, ma una realtà alternativa a cui affidare i propri sogni.