La scalata politica di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle ha imposto all’agenda politica un nuovo modo di discutere, un nuovo modo che spesso e volentieri attinge alla Rete come risorsa di riferimento. Un nuovo modo significa un nuovo codice, nuove parole, nuove modalità. Nel bene e nel male, però: se talune richieste di trasparenza ed apertura vedono nella Rete una fonte di ispirazione forte e meritevole, il dibattito sui troll ha minato parte della bontà di principio dimostrata in precedenza ed ora sulla questione degli streaming il M5S rischia di scivolare su di una deriva pericolosa. Il rischio, infatti, è quello di confondere il fine con il mezzo. Ed è un rischio dalle conseguenze non prevedibili.
I fatti sono noti: alle consultazioni in gran segreto fin qui tenute dalla politica, il Movimento ispirato da Beppe Grillo ha opposto una proposta alternativa forte rappresentata da una consultazione in diretta streaming. Una novità assoluta: invece di chiudere la stampa al di fuori dei grandi portoni della politica, si apre la diretta ai grandi portali del video online. Si parte da La Cosa e si arriva su YouTube, consentendo direttamente ai cittadini di vedere con i propri occhi e di sentire con le proprie orecchie quel che succede durante l’incontro tra le fazioni politiche:
Tutto ciò è inevitabilmente fonte di giubilo da parte di chi crede fermamente nel potere liberatorio della Rete e nel carico di trasparenza che porta sulla piazza. Tuttavia c’è qualcosa di più sottile da tenere in considerazione. C’è qualcosa di più sfuggente. Qualcosa, però, di altrettanto importante: nessun medium è realmente trasparente ed il rischio, anzi, è che il medium vada ad incidere sul dibattito più di quanto non avrebbe inciso una sua assenza. Sedendo direttamente al tavolo delle trattative come protagonista silente e minaccioso del confronto in atto.
Occorre infatti riflettere su di una cosa: cosa significa trasmettere in streaming un delicato incontro istituzionale tra esponenti politici? Significa imporre di fatto una recita. Significa che i diretti interessati vanno a discutere non soltanto con un interlocutore, ma anche con una telecamera. E dietro quella telecamera ci sono migliaia di persone. Il rischio intrinseco di uno streaming (uno streaming particolare nel quale lo streaming stesso è protagonista primo dell’incontro), insomma, è quello di inquinare il libero dibattito tra persone a cui si è consegnata una delega decisionale: chi è in grado di asserire con assoluta certezza che, pur in piena buona fede, le persone riprese abbiano parlato in libertà e non piuttosto seguendo un canovaccio utile a mettere in scena ciò che si intende mostrare al proprio elettorato? In questo cosa differenzia uno streaming da una diretta televisiva se non il cavo attraverso cui fluiscono i colori dei pixel?
Queste parole non sono pane per i denti di chi sta combattendo una battaglia pro-PD o pro-M5S: travisare è troppo semplice. La realtà, però, è che nessuno può asserire con certezza che il tavolo del dibattito possa essere stato teatro di un vero confronto e non piuttosto una scenografia ad uso e consumo della definizione del Governo e della prossima (più che probabile) campagna elettorale.
Gli stessi esponenti presenti, con uno scambio dialogico che ha fatto sorridere molti, non hanno esitato ad accusarsi reciprocamente di un comportamento più adatto allo studio di Ballarò che non ad un vero confronto tra persone e tra rappresentanze politiche. Ed è in quella doppia battuta tra Roberta Lombardi e PierLuigi Bersani che lo streaming ha occupato in modo più evidente un posto al tavolo delle consultazioni.
Lo streaming degli incontri può essere una cosa buona? Si, può esserlo, ma non necessariamente: perché mina la fiducia che deve essere parte integrante di una delega di rappresentanza, e perché non è comunque garanzia né di trasparenza, né di reale bontà del confronto.
Lo streaming non è la trasparenza: è uno strumento, che in quanto tale può essere utilizzato in vario modo. Può essere utile, può essere manipolato, può essere deviato. La trasparenza non è negli strumenti, ma nel modo in cui le persone ne fanno uso. Spesso a prescindere dalla buona fede.