Premium Publisher Network. Dietro questo nome si cela una realtà strategicamente centrale che, pur ferma ai numeri di una realtà neonata, porta in grembo brand di assoluta rilevanza. Un nome, tre parole. E tutte e tre del tutto significative:
- Premium, perchè trattasi di un servizio che intende elevare l’offerta rispetto agli standard medi, e tutto ciò tramite un servizio dedicato a contenuti di un’editoria che intende conservare il proprio status di primo livello;
- Publisher, perchè è in questo gruppo che è possibile leggere oggi la chiave di volta dei problemi che il mondo editoriale sta affrontando sul filo dell’equilibrio tra le offerte a pagamento e l’advertising come forma di remunerazione;
- Network, perchè il tutto sorge sull’idea per cui è solo facendo sistema che la “rete” degli editori online potrà crescere ed ambire ad una posizione più matura e consapevole sul mercato dell’advertising.
Dopo settimane di polemiche e novità sul settore, abbiamo pertanto deciso di rivolgerci direttamente al PPN per avere risposte precise su quello che è lo stato dei lavori. Il Direttore Generale di RCS Digital e Presidente del Consorzio Premium Publisher Network, Giorgio Riva, ci ha così concesso la seguente intervista, dalla quale è semplice carpire quanto la tensione sul settore sia oggi ad alti livelli: nuove sfide, nuovi contesti, nuovi orizzonti. Nuovi attori, anche. Prima di addentrarsi, però, ecco un breve riassunto di quello che è il contesto di partenza.
Introduzione
Il Premium Publisher Network nasce ad inizio 2009 da RCS MediaGroup e Gruppo Editoriale L’Espresso dopo mesi di discussione per la formulazione di una nuova proposta in grado di aggredire il mercato. In particolare, il network nasce sull’esigenza di portare avanti un disimpegno nei confronti dell’ingombrante presenza dei player dominanti, il tutto generando una maggior responsabilizzazione dei singoli editori nei confronti degli annunci promozionali veicolati. Più volte il dito degli editori stessi è stato puntato contro Mountain View per l’azione “parassita” identificata in Google News e nel motore di ricerca, ma mai come oggi il confronto sembra polarizzato su posizioni tanto distanti ed inconciliabili. L’irruzione di Rupert Murdoch nel dibattito è stata dirompente: il magnate australiano ha infatti annunciato la volontà di tagliar fuori da Google i propri siti, formulando un’offerta a pagamento che permetta di fare a meno del motore di ricerca. Il Times Online sarà il primo esperimento del genere, a partire dalla prossima primavera. Microsoft si fa ora sotto, proponendosi come interlocutore plausibile.
Anche in Italia c’è un “Murdoch” pronto a seguire la stessa strada? Il PPN può rappresentare una valida alternativa per gli editori di primo piano? Cosa è successo in occasione dell’ultimo IAB? Abbiamo rivolto queste ed altre domande a Giorgio Riva:
Premium Publisher Network
Come si sta evolvendo il Consorzio PPN?
«Il Consorzio PPN è una realtà italiana nata da RCS e l’Espresso in una logica totalmente aperta agli altri editori (ad oggi raccoglie già 50 nomi associati), non solo di carta stampata, che abbiano contenuti informativi di qualità. Il consorzio gestisce per gli editori un unico tipo di formato pubblicitario, il che consente agli editori stessi di avere totale conoscenza dei dati relativi ai click così come per gli altri formati pubblicitari. In passato gli editori lasciavano questo spazio soprattutto a gruppi quali Yahoo o Google, ma era una sorta di concessione “al buio” (si ricevevano dei denari, ma non si aveva governo effettivo su quel tipo di pubblicità). Con il PPN gli editori potranno controllare anche questo tipo di offerta. Il Consorzio è una realtà aggregante ed ha dato mandato per la raccolta pubblicitaria alla 4W Marketplace mettendo a disposizione un network “Premium”: chi compra sa esattamente chi sono gli editori del network e questi ultimi avranno pieno controllo della propria audience e del tipo di inserzione che vanno ad ospitare».
Premium Publisher Network Network
Quali sono i dati di questi primi mesi di attività?
«I dati non possono essere comunicati, ma a livello di pay-per-performance il network si posiziona con un “premium pricing”, in virtù della qualità dell’audience a cui si rivolge, che in questo momento è già più che doppio rispetto alla linea del mercato. Inoltre in molti casi i singoli editori hanno già raggiunto il medesimo fatturato che avevano prima con altri partner internazionali ed in altri stiamo parlando di valori molto vicini a quelli che si avevano in precedenza. L’andamento è dunque molto positivo dal punto di vista economico anche se, al di là del tema economico, c’è un tema strategico legato alla qualità dell’audience e del gruppo dei nomi già affiliati al consorzio».
Il PPN ha ambizioni internazionali?
«Il consorzio è una realtà italiana, per editori italiani. In occasione di una recente presentazione a Liverpool abbiamo condiviso la nostra esperienza con altri editori (i quali potranno adottare il modello nel proprio paese di riferimento), riscontrando interessi da Spagna, Francia, Austria, Germania, Polonia: tutti paesi nei quali gli editori si faranno probabilmente promotori di iniziative simili».
PPN e oltre
A proposito dell’evento di Liverpool: c’è stato il sentore per cui la presenza all’Outlook 2010 e la concomitante assenza dallo IAB sia stata espressione di una qualche frizione tra le parti. Cosa c’è di vero?
«È stato assolutamente un caso. L’evento di Liverpool è stato antecedente, dunque non c’era nemmeno una impossibilità logistica. A Liverpool trattavasi di un appuntamento in essere ormai da anni, e la nostra presenza non era assolutamente in contrapposizione con lo IAB Forum. L’articolo apparso su Repubblica, semmai, riportava il fatto che leggendo l’agenda dello IAB Forum forse c’era la percezione per cui certe tematiche non fossero state considerate o ritenute sufficientemente importanti da essere oggetto di un intervento, o di uno speech, o di una tavola rotonda – fermo restando il fatto che tutti gli interessati erano stati invitati come spettatori. L’articolo citava il PPN, come esempio, o l’iniziativa della FIEG, sottolineando il fatto che stanno accadendo delle cose che sono comunque di rilievo, ma di cui non vi era traccia all’interno dello IAB Forum».
Murdoch, Bing, Google. Offerte alternative, lotte di advertising, modelli a pagamento. Come si inserisce il PPN in questo contesto?
«Il Consorzio aggrega in modo paritetico i vari editori su un tipo molto specifico di pubblicità. Si è scelta una concessionaria, non si sono fatti particolari investimenti in tecnologia e si è proseguito su questa linea. Molti editori a livello mondiale oggi si interrogano su quali modelli sia possibile introdurre o su cosa si possa fare, ma sono queste tematiche che riguardano in primis ciascun editore. Se questo porterà a piattaforme di pagamento comuni, è difficile a dirsi: di concreto c’è ancora poco. Il Wall Street Journal, così come il Financial Times, facevano già pagare i contenuti: trattasi però di due giornali di informazione finanziaria, molto specifica. Il tema è complesso».
Il modello a pagamento è dunque praticabile?
«La piattaforma primaria su cui lavorare con massima priorità per sviluppare modelli a pagamento è quella mobile. Per primi a livello mondiale abbiamo lanciato le nostre application di news per Corriere e per Gazzetta a pagamento (con numeri del tutto soddisfacenti, anche se in un contesto di offerta perlopiù gratuita). Se si va a vedere ci sono anche altri editori nella medesima direzione, mentre ci sono ancora molte offerte gratuite. La via a pagamento dovrebbe essere percorsa un po’ da tutti, fermo restando la possibilità di integrare una offerta di advertising. Si spera che anche altri editori vadano in questa direzione, poiché si ritiene che oggi affianco all’advertising debbano essere introdotti anche prodotti a pagamento coerenti con la qualità dei prodotti che si va ad offrire».
Online, invece?
«Online il discorso è più complicato poiché stiamo parlando di una abitudine al consumo ormai decennale di contenuti gratuiti, con una vasta offerta, per cui è difficile che un singolo editore (anche lo stesso Murdoch) possa decidere di chiudere i propri siti: è troppo vasta l’offerta alternativa. Certe cose appaiono chiare, soprattutto in ambito mobile. Per il resto, invece, gli editori continuano ad interrogarsi su come evolversi, senza dimenticare che l’advertising rimane una fonte di ricavo primario su cui continuare a puntare. Gli investimenti online sono molto importanti, soprattutto sui siti di informazione, per le campagne di brand awarness. Abbinare marchi a prodotti editoriali di qualità continuerà sempre ad avere valore: le performance non sono la soluzione di tutte le attività promozionali».
In Italia la Rete può prendere il volo o la posizione della televisione nel mercato advertising è ancora eccessivamente ingombrante?
«Inevitabilmente in Italia la tv è usata in modo massiccio e non so se sarà mai possibile che Internet diventi il mezzo più utilizzato. Sicuramente Internet è un mezzo in grado di avere un’efficacia simile a quella del mezzo televisivo, anche se c’è ancora molta strada da fare. Internet continua però a crescere nelle pianificazioni degli inserzionisti: l’importante è che tutto non sia ricondotto esclusivamente alla mera performance, ma a logiche più complesse legate alla memoria di un brand, alla conversione all’acquisto ed a tutto quel che consegue l’azione del click».