Mentre infiammano ancora le polemiche sulla sentenza che ha inibito UberPop in Italia, l’autorità di regolazione dei trasporti ha invitato una segnalazione a governo e parlamento nella quale si fa qualche proposta concreta per superare l’impasse. E di colpo sembra tornare il buon senso. Secondo l’authority UberPop può lavorare in Italia, basta che si stabilisca un part time per i conducenti di massimo 15 ore settimanali, un’assicurazione e un registro regionale. La risposta della country manager di Uber è sì.
L’atto di segnalazione sulla legge 21/92 – che regola attualmente, con molte lacune, il sistema del trasporto – è stato redatto qualche giorno prima della sentenza del tribunale di Milano, ma sembra venire in soccorso di tutti coloro che pensano a risolvere la situazione (tranne quella parte che si augura solo la cancellazione del servizio UberPop e magari anche la sparizione di Uber dalla faccia della Terra). I principi sono quelli già spiegati dal presidente Andrea Camanzi in un’occasione precedente, in questo caso il documento è propositivo: si torna a suggerire la cancellazione dell’obbligo di ritorno alla rimessa per le auto a noleggio, e in caso di UberPop si individuano tre criteri: la registrazione presso un elenco regionale, l’inquadramento come non-professionista e obblighi in tema di assicurazione RC auto, di trasparenza nella fissazione delle tariffe, di controlli, di carta della qualità dei servizi.
Uber: siamo d’accordo
Se queste proposte finissero subito in un decreto legge del governo, e poi confermate in Parlamento, Uber potrebbe tornare subito in attività. D’altra parte, Benedetta Arese Lucini l’ha sempre ribadito: è la stessa azienda a invitare i conducenti di UberPop a professionalizzarsi quando diventa un lavoro vero, viceversa è da considerare un’attività parziale. Queste proposte riflettono, secondo la country manager, il nuovo assetto del trasporto pubblico che va sotto il nome di smart mobility, dove si raggiunge una destinazione passando da più mezzi, intermodali, condivisi, più ecologici.
E c’è di più: da paese anti Uber, se passasse questa riforma l’Italia sarebbe all’avanguardia:
Con questo atto l’Italia sta indicando la strada all’Europa e sta abbracciando l’innovazione a beneficio di tutti i cittadini. Uber vuole dare il suo contributo e partecipare al processo che potrà far sì che le considerazioni dell’Autorità divengano finalmente legge.
La rete di #iostoconuber
Stando a guardare poi il dibattito sui social, questa riforma dovrebbe passare all’istante. È sempre stato evidente il buon rapporto tra l’utenza di questi servizi e chi frequenta la rete. A poco più una settimana dalla decisione del tribunale di sospendere provvisoriamente il servizio UberPop la reazione della rete non si è fatta attendere. Una mobilitazione online condotta sull’hashtag #IoStoConUber che ha coinvolto più di 50 mila persone e ha prodotto contenuti visti su Facebook e Twitter tre milioni e mezzo di volte. Secondo la logica alla base del blocco di Uber «dovremmo bloccare le playstation perché ostacolano le partite di calcetto» twitta @FranAltomare, esperto di tv e satira con oltre 60.000 follower; e in rete c’è già il tormentone “Se bloccate Uber allora dovete bloccare…” e poi elenchi decisamente ironici e fantasiosi.
I panettieri e i viticoltori faranno causa a Gesù Cristo.#iostoconUber pic.twitter.com/dHcdbhdI4o
— IlMeglioDiInternet (@IMDInternet) May 27, 2015
Per Uber, sui social sono scesi in campo anche economisti, politici, opinion leader, giornalisti, come Carlo Stagnaro, capo della segreteria tecnica del Ministero dello Sviluppo, Massimo Dona, segretario generale dell’Unione Consumatori, Franco Debenedetti presidente dell’Istituto Bruno Leoni e l’imprenditore Chicco Testa. Sono nate anche le prime community su Facebook, come Io sto con Uber, già tante firme sulla piattaforma Change.org mentre su MegaShout, portale per le campagne online, è attiva la campagna destinata al Ministro Delrio contro le lobby e a favore dell’innovazione.