Lo si ammiri un’ultima volta. Interfaccia touchscreen, nessuno storage interno, connettività come anima dell’interazione con i servizi sul Web, cuore Intel Atom, prezzo ridotto e design raffinato:
È questa l’immagine ufficiale con cui Michael Arrington presentava al mondo il proprio CrunchPad, il tablet che veniva dalla blogosfera per rivoluzionare un settore in piena esplosione. Arrington ha raccolto attorno al proprio progetto grande interesse promettendo grande connettività e bassi prezzi, look&feel invidiabile e totale fiducia nel touchscreen come forma unica di interazione. A distanza di pochi mesi, però, tutto va in fumo come nella più classica delle vaporware story che la Rete ha già conosciuto in passato.
Il CrunchPad, semplicemente, non esiste. O almeno, non esiste più: «Due settimane fa eravamo pronti a lanciare pubblicamente il CrunchPad. Il device era stabile a sufficienza per un demo. Passavano ore senza alcun crash. Avremmo potuto lasciar giocare la gente con il device – l’interfaccia era intuitiva abbastanza da permettere alla gente di usarla senza alcuna istruzione». I piani, spiega Arrington direttamente sul proprio TechCrunch, prevedevano una presentazione pubblica per il 20 Novembre: in quell’occasione dovevano essere messe 1000 unità in prevendita prima di iniziare la produzione di massa entro i primi mesi del 2010. I condizionali si interrompono nell’unica certezza rimasta: «L’intero progetto si è autodistrutto a causa di cupidigia, gelosia ed incomprensioni».
Erano stati in molti a confidare estrema diffidenza nei confronti degli annunci di Arrington, uno che quando si tratta di rumor normalmente è all’avanguardia, ma che nei confronti di sé stesso non sempre ha palesato massima trasparenza. Per questo anche l’outing odierno va preso con le molle.
Secondo Arrington il 17 Novembre, 3 giorni prima della presentazione, una mail è stata inviata da Chandra Rathakrishnan, CEO del gruppo partner nel progetto CrunchPad, preannunciando cattive notizie dovute ad un cambio di orizzonte da parte degli shareholder interessati ad investire nel device. Dapprima si prendeva tempo, quindi Arrington veniva letteralmente estromesso dal progetto (con eventuale possibilità di “reintegro” come una sorta di consulente/evangelist). Arrington spiega come né lui né il partner Fusion Garage abbiano i diritti di proseguire autonomamente nel progetto e quindi il tutto va per definizione in fumo in conseguenza delle incomprensioni tra le parti.
Arrington, conscio dell’incredibilità della storia narrata, porta online un’ultima immagine del dispositivo mostrando le dotazioni interne di uno dei prototipi elaborati a cavallo tra gli uffici di Singapore e quelli della Silicon Valley:
La struttura interna del CrunchPad
Un progetto dato per concluso e pronto al mercato, insomma, viene ora mandato nel dimenticatoio senza grosse remore, con Arrington pronto a descriverne la bontà come semplice strumento di lavoro senza tuttavia interessanti business da elaborare. Il CrunchPad avrebbe dovuto essere sul mercato al prezzo di 300 dollari. Ora, invece, è soltanto una chimera che l’immaginario collettivo potrà mettere nelle mani di altri produttori, più seri ed interessati rispetto alla coppia Arrington/Fusion Garage.