iPad è ormai diventato il partner ideale di molti Mela-user che lo utilizzano per archiviare file di varia natura. Che fare, perciò, in caso di perdita di dati importanti, come indirizzi, rubriche telefoniche o fatture? Durante l’ultimo MacWorld è stato presentato un’interessante progetto di recovery, dal costo di “soli” 1.000 dollari. Ne varrà la pena?
Dati i prezzi di iPad, questo recupero dei dati appare di certo esoso. Sostituire un tablet difettoso con uno fresco di fabbrica, infatti, è assolutamente più conveniente. Ma, spesso, la mole dei file salvati è talmente preziosa da spingere gli utenti a pagare qualsiasi prezzo.
Il servizio è offerto da DriveSavers, una società dedicata alle soluzioni di storage, che tempo fa si è vista rivolgere le richieste di un’importante, ma anonimo, CEO per il recupero dei dati da una tavoletta non più funzionate. L’azienda, dopo aver ottenuto con successo questo obiettivo, ha deciso di rendere disponibile al pubblico la propria tecnica di estrazione dei documenti dai chip flash di iPad.
Chris Bross, un ingegnere di DriveSavers, ha spiegato come ogni singola memoria di iPad sia composta da diversi livelli NAND fra di loro sovrapposti che, in fase di recupero, necessitano di essere analizzati singolarmente. Le porzioni di codice ricavate da ogni singola unità, poi, devono essere ulteriormente scansionate e ricostruite come un grande puzzle: al termine di questo lungo processo, che può durare anche 48 ore, si otterranno dei file leggibili ed esportabili su altre unità di archiviazione.
Si evince, di conseguenza, come il processo sia lungo e macchinoso e come l’elevato prezzo sia tutt’altro che immotivato. Delle tariffe legittime che, tuttavia, costituiscono un vero e proprio deterrente per l’utente comune, non sempre disposto a spendere cifre che strizzano l’occhio al target dei dirigenti d’azienda. D’altro canto, non appare nemmeno verosimile che i normali consumatori utilizzino iPad per immagazzinare dati di primaria importanza: non tanto per mancanza di materiale prezioso, ma quanto forse per buon senso. Che l’utente comune sia molto meno sprovveduto dei big dell’industria?