La pubblicazione su Internet dei redditi di tutti i contribuenti italiani (effettuata dall’Agenzia delle Entrate) ha suscitato un polverone e l’Italia si è divisa fra favorevoli e contrari. Negli ultimi giorni, poi, la Procura della Repubblica di Roma ha indagato una persona che ha venduto tali dati. Ma la condivisione via P2P è lecita?
La premessa giuridica è la seguente: il Garante ha bloccato la diffusione degli elenchi affermando che è stato un atto illecito per diversi motivi (mancanza di informativa, violazione di legge, ecc.).
Gli elenchi dei contribuenti e dei loro redditi, infatti, sono stati diffusi su altri siti Web e condivisi da diversi utenti mediante programmi di P2P (come eMule) poco dopo la pubblicazione sul sito dell’Agenzia. Il Garante della privacy, nel provvedimento citato, ha affermato che chi condivide gli elenchi potrebbe subire conseguenze civili e penali.
Dal punto di vista penale, il reato ipotizzato è l’art. 167 del Codice della privacy, che punisce il trattamento illecito di dati personali. Sicuramente la condivisione degli elenchi è un trattamento illecito, ma sembra difficile che si possa arrivare a conseguenze penali. Infatti, la condivisione deve essere operata per trarne profitto (per sé o per altri), altrimenti non siamo in presenza di un reato. Il fine di profitto, però, è diverso da quello di lucro: può consistere anche in un mancato esborso patrimoniale o in un’altra utilità anche non economica.
Non dimentichiamo, però, che la diffusione di questi dati è comunque illecita e che le procure possono indagare, anche se difficilmente qualcuno potrà essere condannato con una sentenza penale. Ovviamente, se tali elenchi vengono venduti oppure se un profitto c’è stato, allora le probabilità di una condanna aumentano.