Nella sequela di audizioni che la House Judiciary subcommittee sta tenendo per capire a fondo la questione Google Books, un nuovo fondamentale tassello è costituito dalla presenza di Marybeth Peters, rappresentante del Registro del Copyright statunitense. La difesa del copyright, infatti, è il nocciolo fondamentale della questione e l’opinione avversa del Registro sembra poter essere la pedina fondamentale in grado di affondare le ambizioni di Google sul settore.
L’opinione della Peters è parsa inequivocabile. Innanzitutto v’è stata una bocciatura legale in quanto la proposta di accordo con gli autori è giudicata «indiscutibilmente un’infrazione del copyright». Secondo il Registro, insomma, la parte della proposta che concerne l’accordo sui libri fuori stampa rappresenta una violazione bella e buona, non rimarginabile con un “condono” da 125 milioni di dollari e da respingere per il principio stesso per cui la violazione di copyright possa essere autorizzata con modalità differenti da quelle di una richiesta preventiva.
La Peters, però va oltre in modo determinante. A nome del Registro, infatti, si spiega che solo il Congresso, e non certo la Corte, può stabilire se debbano esserci altre modalità di gestione del copyright. Nell’audizione, insomma, si ammonisce la Corte ricordandone il ruolo e le responsabilità, e chiedendo alla stessa di astenersi da un qualsivoglia giudizio sbilanciato poiché andrebbe a contrastare con gli ordinamenti legislativi. L’accordo, anzi, «indebolirebbe gli sforzi del Congresso nel formulare una legge per i libri orfani, di cui potrebbero beneficiare tutti gli utenti».
Trattasi di una scelta tutta interna agli Stati Uniti, ma i cui effetti sono destinati a ripercuotersi inequivocabilmente anche a livello internazionale. Non è un caso, infatti, se Francia, Germania e gli stessi editori italiani si sono schierati esplicitamente contro l’iniziativa di Google. Dalla parte di Mountain View, invece, parte degli editori USA, comunità di ipovedenti (interessati in modo particolare alla digitalizzazione dei libri) e Sony. Amazon, intanto, nella notte ha già respinto quello che è sembrato essere un astuto colpo di coda di Google, il cui rappresentante David Drummond ha proposto l’estensione alla concorrenza dei libri contestati, così che possano agire liberamente da reseller trattenendo la quasi totalità degli introiti. Amazon non ha lasciato il minimo spazio ad alcun compromesso: l’idea dell’autorizzazione in sé è bocciata per principio, dunque non c’è spazio di accordo: il patteggiamento da 125 milioni di dollari va bocciato, Google deve tornare sui suoi passi.
La scadenza è fissata per il 7 Ottobre: entro questa data il giudice Denny Chin dovrà pronunciarsi. Sebbene ad oggi il bilancino sembri pendere in sfavore di Google, secondo il New York Times parte della Judiciary Committee sembra aver accolto con scetticismo le parole della Peters, credendo invece maggiormente negli sforzi di Google di lasciare in ogni caso il potere di autorizzare o rimuovere i libri dall’archivio digitale nelle mani degli autori.