Matteo Renzi e il suo governo hanno scritto nero su bianco che vogliono tagliare il traguardo del 2020 con la banda larga su tutto il territorio italiano. Un impegno sancito nel Documento di economia e finanza che ha una dozzina di pagine dedicate al Piano nazionale delle reti immateriali: una fotografia del digital divide con l’aggiunta di un prospetto economico. Ma sulle coperture qualche ansia continua a rimanere.
Il famoso “DEF” (download), pubblicato nei giorni scorsi dopo la presentazione nel Consiglio dei Ministri dell’8 aprile, è un documento programmatico, composto di tre sezioni: il Programma di Stabilità, il Programma Nazionale di Riforma e una parte di dettaglio sulla finanza pubblica. Proprio nella parte dedicata alle riforme, nella sezione III, si entra nel dettaglio della parte dell’Agenda Digitale dedicata al tema delle infrastrutture, dove si incorpora il piano di Francesco Caio e si stabiliscono alcuni obiettivi. I principi base sono piuttosto noti: fatta eccezione per il Piemonte e l’Emilia Romagna, il Piano Nazionale Banda larga è completamente finanziato, con gli ultimi venti milioni del 2012, sulla programmazione Regioni-Stato e metà del programma è stato completato per un ammontare complessivo di 504 milioni di euro, che ha portato in banda larga 3,4 milioni di italiani. A questo si aggiunge il piano banda ultralarga pensato per il sud, per 553 milioni di cui 117 da privati attraverso i bandi già aperti.
Il digital divide italiano
Entrare nel dettaglio della ricca documentazione del DEF non è facile. Certamente salta all’occhio l’attuale situazione: in Italia la banda larga fissa (argomento completamente diverso e più roseo è quella mobile) è penetrata per il 22,5%. Il piano nazionale è finanziato dallo Stato, dopo l’ok della commissione europea, e cerca di colmare lo stato a macchia di leopardo tipico del Belpaese intervenendo sulle aree di scarsa convenienza di mercato, secondo le stime del Ministero dello Sviluppo Economico. Bastano pochi numeri per comprenderlo: l’Umbria o la Valle d’Aosta soffrono di un digital divide del 12,5%, la Lombardia è al 2,1% ed è tendente all’azzeramento per la fine dell’anno.
Lo stato di avanzamento dei lavori ha subìto un taglio, da 1,471 miliari a 1,106, dovuto però a un impegno maggiore di tecnologie e di investimenti privati. In ogni caso, si calcola che si toglieranno dal digital divide entro la fine dell’anno circa 6 milioni di italiani, comprendo una parte del fabbisogno che il MISE ha soddisfatto mediamente per il 48%, con le punte massime di investimenti realizzati nelle regioni del nord e piutttosto basse nel centro.
Le strategie per dare impulso
Ovviamente il piano nazionale serve a dare impulso alla infrastruttura di Rete e agli investimenti altrui, grazie a tre tipologie di intervento: quella degli scavi e della posa dei cavi (le opere passive), la partnership pubblico/privato, il modello di incentivo. Ad esempio, lo stato copre fino al 70% dei costi per il servizio di connettività a 30 Mbps fornito dalle società vincitrici dei bandi per il sud. Nel suo complesso, l’obiettivo dello Stato che si evince dal DEF è così riassumibile:
- 2 Mbps per tutti e ultralarga per circa la metà dei cittadini di Basilicata, Calabria, Campagnia, Molise, Sicilia entro l’anno.
- Due bandi nuovi (il 5 e 6) del piano nazionale per le regioni Abruzzo, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto, per 122 milioni di euro: 4.000 km. di fibra ottica in 500 aree per 2,8 milioni di cittadini.
- Utilizzo dei fondi strutturali (630 milioni) per recuperare il ritardo sulla banda a 30 Mbps per il 2020 insieme a un nuovo bilanciamento tra risorse fisse, mobili e satellitari. Ne servirebbero, tuttavia, almeno 2,5 miliardi.