Ripartire da giovani e dalle nuove imprese per far ripartire l’Italia. Questo è il convincimento del ministro Corrado Passera, titolare del dicastero dello Sviluppo Economico, che tempo fa ha istituito una task force per elaborare un documento sulle start up. Oggi è stato pubblicato sul sito del ministero e ci sono molti elementi interessanti per chi crede nell’innovazione come spinta economica necessaria ad un paese, come il nostro, troppo vecchio e imbolsito.
Il documento, presentato in anteprima alla sede di HFarm a Treviso dove a maggio aveva tenuto un open day sul tema, è il prodotto del lavoro di 12 persone, coordinate da Alessandro Fusacchia, tutte molto note anche nell’ambiente 2.0: Andrea Di Camillo, Annibale D’Elia, Donatella Solda-Kutzmann, Enrico Pozzi, Giorgio Carcano, Giuseppe Ragusa, Luca De Biase, Massimiliano Magrini, Mario Mariani, Paolo Barberis, Riccardo Donadon, Selene Biffi. In 176 pagine, il report (PDF) considera l’argomento dividendolo in cinque capitoli:
- Lancio
- Crescita
- Maturità
- Consapevolezza
- Territori
In queste sezioni sono contenute tutte le raccomandazioni di questo pool di esperti destinate – teoricamente – a diventare proposte del prossimo decreto sviluppo del governo Monti. C’è molta più carne al fuoco rispetto anche alla bozza ultimativa dell’Agenda Digitale, perché in questo caso si parla più esplicitamente di fondi: raddoppio, da 70 a 140 milioni di euro, e raddoppio anche del parco delle start up italiane, da 2.500 a 5.000. Non si parla di sussidi, ma di forme di incentivazione, che riguardano l’oggetto in sé, non la sua italianità. Si considera, giustamente, il principio per cui un paese meno è ospitale nei confronti degli innovatori più è probabile che l’innovazione si sviluppi altrove, causando un impoverimento. Innanzitutto, la definizione di start up:
Consideriamo start up le società che sono detenute direttamente e almeno al 51% da persone fisiche, anche in termini di diritti di voto, che svolgono attività di impresa da non più di 48 mesi, non hanno fatturato – ovvero hanno un fatturato, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato, non superiore ai 5 milioni di euro – e non distribuiscono utili, e hanno quale oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico, e si avvalgono di una contabilità trasparente che non prevede l’uso di una cassa contanti, fatte salve le spese legate ai rimborsi.
Il pacchetto immaginato per le iSrl (le start up di nuova costituzione a costo zero) prevede sostegno fiscale, un tutoraggio, e indicatori per misurare la componente di innovazione da premiare, che scala gradualmente fino al compimento del quarto anno di età. Il documento, che merita una lettura attenta e approfondita, è molto preciso e stimolante nell’elencare le directory di accoglienza di una start up, su soci, bilanci, impatto ambientale, prodotti, trasparenza, e naturalmente la sua vocazione, che può essere anche sociale, non meramente tecnologica, come nei casi della formazione extrauniversitaria, la tutela ambientale, il turismo.
Molto complessi i capitoli riguardanti la consapevolezza dei settori pubblici e privati in merito alle start up, e come gestire i fallimenti di queste imprese ad alto tasso di rischio. Tuttavia, per chi fosse interessato a questo progetto, la lettura del capitolo sul Lancio, cioè le misure di semplificazione amministrativa, la riduzione degli oneri fiscali, è davvero obbligata. Così come la modernissima proposta sulle società per azioni e regime di autodisciplina. Un vero salto in avanti verso i migliori modelli esistenti, compreso l’inedito work for equity, secondo il quale è consentito alla startup remunerare i fornitori di servizi o beni di sorta, come pure chi affitta un locale per la sede della startup, con delle quote della società invece che con il pagamento di una fattura, riducendo quindi le esigenze di cassa.
Ci sarà tempo per valutare con attenzione tutte queste proposte, ma il dado è tratto e finalmente il linguaggio usato lascia intravedere la famosa «luce in fondo al tunnel».