Quando Nicholas Negroponte lanciò il progetto One Laptop Per Child, preferimmo tirarci fuori dalla fiumana degli entusiasti. Fin dall’inizio, infatti, abbiamo intravisto in questo progetto qualcosa di distorto, un gusto amaro che si nascondeva dietro la dolce apparenza del progetto umanitario di sapore tecnologico. Il tempo è passato e ci ha dato purtroppo ragione: a distanza di anni dall’esordio, infatti, Nicholas Negroponte non ha raccolto i risultati auspicati. Ed a questo punto l’intera struttura OLPC sembra sempre più a rischio.
Col senno del poi è facile notare come l’idea originale sia stata sradicata, evoluta, il tutto senza mai riuscire a raggiungere lo scopo. Perché lo scopo era apparente nobile, va detto: progettare un piccolo laptop a bassissimo costo che potesse essere utilizzato nei paesi in via di sviluppo per stimolare l’educazione tra i bambini. Un giocattolino, insomma, che sapesse dribblare la carenza di elettricità, le offese della polvere e l’insulto di mani non avvezze alla fragilità dei dispositivi tecnologici. Si volevano raccogliere fondi per portare il tutto in produzione, riuscendo così a stimolare l’educazione ove carta e penna faticano ad arrivare: la tecnologia doveva farsi portatrice di un piccolo miracolo.
Nicholas Negroponte ha messo la sua faccia sul progetto alimentando l’aura di “guru” del visionario per promuovere la bontà dell’idea. Poco alla volta, però, i tasselli del mosaico iniziale hanno iniziato a staccarsi, a perdersi, a svanire. Ed a distanza di anni l’idea OLPC non regge più.
Il gruppo ha licenziato parte del personale. L’area software si è distaccata dall’idea originaria, così come i maggiori responsabili dello sviluppo hardware. La guida è stata carente, incerta, ed i continui cambi di orizzonte (partendo da un netbook a manovella per arrivare ad un futuristico XO-3 mai realizzato) non hanno giovato all’organizzazione di una strategia. In tutto gli OLPC distribuiti sono stati 2 milioni circa, ma con una penetrazione estremamente bassa proprio dove occorre: sono appena 1000 i OLPC distribuiti in Ghana, soltanto 6.000 quelli in Nigeria. L’Italia, addirittura, ha più OLPC che non Camerun, Mali, Uganda o Kenia: vale più un capriccio che non una ipotetica necessità, insomma, ed in questo può essere riassunto l’insuccesso progettuale di Negroponte.
Le ultime notizie provenienti dal mondo OLPC non sono rassicuranti: Negroponte spiega di voler ora gettare letteralmente da un elicottero i dispositivi presso popolazioni isolate per verificare se (per semplice osmosi?) lo strumento sia in grado di istruire i bambini che si troveranno lo strumento di fronte. Entro un anno i primi lanci, entro un anno ulteriore le verifiche sul posto.
Quando in molti salirono sul carro dell’OLPC descrivendone la magnificenza dei principi e l’innovatività del concept, preferimmo tagliarci fuori dal facile entusiasmo. Leggemmo criticamente in questo progetto più un tentativo di colonizzazione culturale che non una reale opportunità per paesi che ambiscono semplicemente ad un tenore di vita migliore rispetto a quello dell’estrema povertà. Non accettammo l’idea di portare un gioco come Simcity nelle mani di ragazzi abituati a vivere per la strada: ci sembrava una violenza, più che un sogno. Oggi, a distanza di anni, saremmo lieti di poter dire “per fortuna ci eravamo sbagliati”: anche a noi piacerebbe poter elogiare uno strumento che, con la sua sola presenza, fosse riuscito a migliorare le condizioni di vita di popolazioni povere e generazioni senza speranza.
Così non è, ed una retrospettiva è oggi utile e necessaria. Per evitare, in futuro, che i facili entusiasmi cullino più la nostra comoda beneficenza che non le loro concrete difficoltà. Dell’OLPC bisogna salvare la teorica bontà d’intenti e l’idea per cui sì, qualcosa la tecnologia può fare. Dell’OLPC bisogna salvare i sorrisi dei ragazzi coinvolti, dell’idea per cui con un po’ di fortuna forse qualcosa lo si sarebbe potuto ottenere. Non bisogna però salvare, e anzi condannare, la superficialità dell’approccio, la carenza di una guida manageriale forte e l’idea per cui a prescindere la tecnologia, di per sé, possa farsi portatrice di valore.
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