Li ha nominati lui, ma non li ha inventati e saranno loro a nominarne altri. Il modello improntato da Riccardo Luna per i suoi digital champion trova oggi nella presentazione al Tempio di Adriano il suo folgorante esordio, tra selfie, caccia all’endorsement e la benedizione di Matteo Renzi e di Bruxelles. Una vicenda molto particolare, che ha per la prima volta messo sotto i riflettori un ruolo che nessuno aveva mai considerato granché, mentre oggi tutti si chiedono di cosa si tratta e se funzionerà.
È lo stesso Luna, a poche ore dalla presentazione nella Capitale, a scrivere una lettera ai suoi primi cento digital champion selezionati dal suo sito. Per Luna la questione è semplice, fa parte del suo metodo: non preoccuparsi troppo di dove si va, ma partire col primo passo, aggiustare in corsa e soprattutto premiare chi va sul fronte. Tanto da definire i digital come i «medici senza frontiere dell’innovazione». I primi cento, racconta, «si sono presi un giorno di ferie per venire a Roma a guardarci negli occhi e dirci ‘lo faremo, faremo quello che abbiamo sempre fatto, lo faremo con ancora più impegno, passione e responsabilità’». Questa rete di evangelist associati da Luna è davvero una buona idea? Alle perplessità raccolte da Webnews risponde direttamente lui, svelando anche particolari del progetto che ancora non erano noti.
È il giorno dei 100 #digitalchampions oggi #wearethechampions i "medici senza frontiere" dell'innovazione
— Riccardo Luna (@RiccardoLuna) November 20, 2014
Intervista a Riccardo Luna
Prima di tutto, da dove viene questa idea degli ottomila digital champion? Ha destato un certo sconcerto…
Questo è strano, penso sia stata la prima cosa che ho detto, da neo incaricato. Mi trovavo in California al seguito della missione del governo, e ricordo di aver detto che avrei operato in questo modo. Poi, due mesi dopo, ho messo in pratica e tutti si sono sorpresi.
Michele Vianello ha fatto notare che se il form invece di chiedere alle persone di candidarsi chiedesse quale potrebbe essere il digital champion di un territorio avrebbe un carattere più elettivo. Perché invece le autocandidature?
Innanzitutto, dal sito sono arrivate candidature di sé ma anche suggerimenti su candidature altrui. Poi, vogliamo davvero finire come in certe primarie online? Sulle nomine, io ho scelto questi cento, ma saranno loro a nominarne altri dieci ciascuno, che a loro volta nomineranno altri cinque e così via.
Dunque la prima rete di champion farà scouting sui territori e provvederà ad allargare il raggio?
Esattamente. Noi valuteremo i curriculum, ma non mi metterò certo a sceglierli tutti e ottomila, Vianello dice bene: cosa ne so io di Crema o di Caltanisetta?
Veniamo ai punti critici. Perché questa rete e non un solo Digital Champion?
Lei ha visto cosa è richiesto a un Digital Champion, formalmente? Si tratta di diffondere cultura digitale, raccogliere e promuovere storie. Niente che non facessi già prima.
Nel documento sulle strategie per la crescita digitale ci sono due righe su 97 pagine…
Appunto. Disseminare, divulgare. Io però con questo incarico, lo dico sinceramente, senza soldi e senza potere di intervento vero mi annoio, non mi cambia nulla e soprattutto non cambia l’Italia. Allora ho pensato di dividere questo compito con molte altre persone. Potevo andare in giro a fare conferenze, sfruttare questo ruolo: invece divido la carica in una rete e oggi li invito a Roma. A un evento a mie spese.
Distribuire, ma magari moltiplicare, oppure annacquare, o persino distorcere. Non è preccupato della possibile tensione tra la moral suasion di questa rete di digital champion e l’amministrazione pubblica? Cosa risponde un digital a un sindaco che di fronte a questo consulto non richiesto dicesse “e la circolare dov’è?”
Farà sapere sui social che quel sindaco non vuole una città più smart, che quel dirigente scolastico non sa cosa farsene del wifi…
Ecco il punto: mettere pressione, ma poi chi ne risponde?
Oggi viene anche l’Anci. Attenzione, i digital si costituiranno come associazione e cercano collaborazioni con le altre. Non bisogna pensare ai digital come a un un gruppo che si oppone agli amministratori, ma che collaborerà. Poi, certo, ognuno darà la disponibilità che vuole. Come con Wikitalia: si andava a proporre delle soluzioni di innovazione e sa chi fu il primo sindaco a rispondermi?
Bè, lo sanno tutti: Matteo Renzi.
La strada è quella, d’altronde lo suggerisce anche l’Unione Europea: going local. Il progetto italiano di nominare un digital champion per ogni comune è stato portato come esempio da Bruxelles. Sa quante volte era successo nell’ambito dell’agenda digitale? Mai prima d’ora.
Fatta la sintesi dell'intervista a @rtl1025, ora al lavoro. Oggi tra Chigi, Parma e Bologna. Ma seguite iniziativa di @RiccardoLuna…
— Matteo Renzi (@matteorenzi) November 20, 2014
Si aspetta qualcosa di simile a Wikitalia, allora?
No, Wikitalia fa altro e dei cento ci sono soltanto due nomi che provengono da lì. I digital sono una esperienza nuova, che ha un obiettivo diverso. E, per dirla tutta, ci lavorerò per un anno, ma vorrei camminasse da solo, anche perché io dovrei guadagnarmi da vivere nel frattempo.
A proposito: ma questo decreto della presidenza del consiglio, c’è?
Certo che esiste: l’ho incorniciato nel mio studio.