In un’economia matura i due principali motori della crescita economica, sia a livello di PIL che di occupazione, sono rappresentati dall’innovazione digitale e dalla nuova imprenditorialità. Un termine li riassume entrambe, startup, ma è diventata così di moda che forse ci si è scordati di indagare la reale preparazione di chi per questioni anagrafiche dovrebbe lanciarsi in queste iniziative: gli studenti universitari. Una ricerca presentata oggi a Milano mostra infatti che saranno pure tanti coloro che lanciano startup, ma le competenze digitali arrancano.
Un bel bagno di realismo quello di #u2bdfuturoggi, convegno attorno a “Il futuro è oggi: sei pronto?” di University2Business, una ricerca (pdf) condotta dalla società del Gruppo Digital360, nata dall’esperienza di un gruppo di docenti universitari e professionisti del mondo digitale ed risorse umane, e supportata da varie aziende per valutare le capacità digitali e la sensibilità imprenditoriale degli studenti universitari italiani. I risultati non lasciano spazio alla fantasia: le nuove leve mostrano una generica abilità nella programmazione, anche se lontana dalle medie dei coetanei americani o di altri paesi europei, tuttavia emerge la scarsa conoscenza della trasformazione digitale in atto e si registra anche un deficit su alcune competenze. Tutti gli studenti universitari usano internet e i social media, ma solo uno su cinque ha già fatto esperienza di progetti digitali come la gestione di un blog, un sito, una pagina Facebook oltre al profilo personale, un canale youtube o la vendita online; solo uno su quattro dimostra conoscenze teoriche avanzate riuscendo a dare la definizione giusta di concetti chiave delle tecnologie digitali applicate al business di oggi come “mobile advertising”, “cloud”, “fatturazione elettronica” o “big data”.
@fabiotroianibip "#Università importante ma esperienze professionali pre laurea non possono mancare" #u2bfuturoggi pic.twitter.com/SAYEF6bkR3
— BIP (@Bip_Group) February 15, 2016
La questione è che a fronte di queste competenze è molto diffuso il desiderio di avviare un’impresa: il 30% degli universitari ha frequentato un corso su come creare una nuova azienda (nel 18% dei casi all’università, nel 12% di propria iniziativa), mentre quasi il 40% degli studenti dichiara di aver avuto almeno un’idea di business: di questi, uno su due ha anche avviato un’attività imprenditoriale o sta cercando di farlo. Se però, come fa questa ricerca, si analizza la preparazione degli studenti universitari italiani sull’innovazione digitale e sull’imprenditorialità dal punto di vista sia teorico che pratico prendendo in considerazione le diverse competenze e insieme l’approccio imprenditoriale, alla fine emerge una statistica già nota alla ricerca applicata del mondo del lavoro: solo il 5% delle persone ha una capacità imprenditoriale vera. Ecco perché non ha senso pensare che la nuova economia possa davvero trasformare tutti in CEO di queste aziende ad alto potenziale di crescita.
Mariano Corso, della School of Management del Politecnico di Milano, considera con preoccupazione questi dati, sostanzialmente coerenti con quelli di Eurostat:
Siamo tra gli ultimi Paesi UE sia per offerta di esperti ICT (2,5% contro il 3,7% della media UE), che per domanda da parte delle imprese (31% di imprese con posti ICT vacanti contro una media UE del 38%). È lo specchio di come 15 anni di politica industriale ed educativa poco lungimiranti ci abbiano portato ad un tessuto economico e professionale sempre più disallineato da quello dei Paesi avanzati.
Stefano Quintarelli, che ha contribuito con una propria riflessione alla ricerca e ha partecipato alla discussione, preme da sempre perché gli stessi attori di questa possibile rivoluzione digitale chiedano queste competenze come fossero diritti. Insomma, dentro una consapevolezza più grande che è tipica del suo pensiero: muovere opinioni avanzate dal basso, portare le decisioni in alto alla governance:
L’Italia è notoriamente un Paese vecchio e proprio per questo
dobbiamo fare affidamento sulle nuove generazioni per spingere
quei processi di innovazione inevitabili per non perdere competitività sulla scena globale. Le risposte degli studenti universitari ci dicono che c’è una cultura digitale che va irrobustita e strutturata ma anche una nuova propensione all’impegno imprenditoriale che non va mortificata. Quindi diamo spazio agli entusiasmi digitali dei giovani e aiutamoli a farli diventare progetti, lavori, imprese. A vantaggio di tutto il Paese.
#u2bfuturoggi @enzabrunobossio @antoniopalmieri @mimmo_squillace @marianocorso
Bravo @quinta "ambizione è cambiare la testa dei decisori!"— Daniele Tumietto 🃏 (@dtumietto) February 15, 2016
I principi e le opportunità
L’utilizzo di Internet e dei social media, l’esperienza progettuale concreta nel mondo digitale, le conoscenze teoriche sull’innovazione digitale
applicata al business, lo sviluppo di codice, e infine l’approccio imprenditoriale. Sono cinque grandi cluster, diversi l’uno dall’altro ma compenetrati, che aiutano a capire come i nostri studenti universitari siano molto, forse troppo simili per qualità intellettuali a quelli che li hanno preceduti: istintiva abilità nella pratica, molta difficoltà nella competenza teorica. Insomma, sono potenziali bravi imprenditori degli anni del boom, dell’economia selvatica pre-digitale. Peccato però che per essere imprenditori digitali ci voglia ben altro della tradizionale, quasi genetica imprenditorialità “rinascimentale” italiana. Ora il mercato è globale, le regole diverse, e conoscere gli smart grid del cloud è più importante che riconoscere un vino buono. Anche se le due cose ovviamente non si escludono a vicenda.
I numeri
Il 60% gli studenti usa più di un social network.
Il 13% gli studenti ha un proprio blog regolarmente aggiornato.
Il 10% degli studenti sa già sviluppare e oltre il 20% sta imparando a farlo.
Il 60% degli studenti è in grado di dare la definizione corretta di startup e quasi il 90% tenta almeno di fornire una classifica dei principali fattori di successo.
Il 40% degli studenti dichiara di aver avuto almeno un’idea di business.