Per meglio gestire gli accessi agli impianti che ospiteranno le Olimpiadi 2020 in programma a Tokyo, il comitato organizzativo farà impiego di un’avanzata tecnologia di riconoscimento facciale. Il sistema analizzerà sia gli atleti (e il loro staff) sia gli addetti stampa, aumentando così il livello di sicurezza e velocizzando le operazioni di identificazione.
Stando alle previsioni formulate, saranno circa 400.000 i volti scansionati dalle telecamere nel corso della manifestazione. In caso di anomalie rilevate o qualora l’esito dell’analisi dovesse rivelarsi dubbio entrerebbero in azione agenti in carne e ossa. L’impiego della tecnologia consentirà inoltre di evitare che il furto dei badge possa consentire l’accesso agli stadi e agli impianti a personale non autorizzato: una misura che mira anzitutto a innalzare il livello di attenzione nei confronti della minaccia terroristica. C’è chi però guarda con sospetto a questo nuovo approccio nella gestione della sicurezza, intravedendovi potenziali rischi per la tutela della privacy.
Il sistema di riconoscimento facciale in questione è lo stesso progettato da NEC e già impiegato negli Stati Uniti in alcuni ristoranti della catena di fast food CaliBurger, al fine di velocizzare e semplificare gli ordini. È ritenuto il più efficace e affidabile oggigiorno in circolazione, con la possibilità di distinguere i connotati di due gemelli e di non lasciarsi ingannare nemmeno dai segni di un intervento chirurgico al viso.
L’immagine rilevata viene confrontata con quella presente all’interno di un database, fornendo in tempi pressoché immediati un responso, dando così il via libera per l’accesso alla location oppure bloccandolo e chiedendo l’intervento di un agente per effettuare ulteriori accertamenti. Un approccio di questo tipo non costituisce una novità assoluta per il Giappone, che già da qualche tempo lo impiega all’interno dei suoi aeroporti per l’identificazione dei passeggeri.