Quelli del Pew Internet
& American Life Project sono molto bravi nell’arte del titolo. Quelli
che accompagnano a mo’ di sommario i loro frequenti studi sull’utilizzo della
rete nella realtà americana, sono in genere perfette sintesi della ricerca
cui si riferiscono. Prendiamo quest’ultima, dedicata ai ‘Search
Engine Users’. Come sono? Cosa fanno? Che immagine ne viene fuori dopo aver
confrontato dati e tabelle? Gli utilizzatori di motori di ricerca, secondo il
PEW, pensano di essere bravi, sono soddisfatti del servizio, si fidano, ma alla
fine mostrano di essere anche poco coscienti dei meccanismi di funzionamento dei
motori, risultando anche un po’ naïve.
La ricerca, condotta con interviste telefoniche ad un campione di 2.200 cittadini
maggiorenni, conferma, ove ce ne fosse stato bisogno, la popolarità di
questi siti, che per via della loro semplicità d’uso continuano a rappresentare
una delle attività predilette sin dai primi momenti trascorsi in rete.
È forse proprio la semplicità d’uso, abbinata all’immediatezza
del feedback, spesso positivo, che dà all’utente la sensazione di poter
padroneggiare facilmente lo strumento. Un po’ di numeri: il 92% degli intervistati
si fida delle sue capacità di searcher, l’87% riferisce di avere
quasi sempre risultati favorevoli, il 68% ritiene i motori una fonte imparziale
e corretta.
Altri dati, però, mostrano una realtà più sfaccettata,
che forse sfugge a quelli che genericamente definiamo ‘utenti avanzati’. Quante
volte abbiamo letto, detto o sentito dire che i motori di ricerca sono o sono
destinati ad essere ubiqui, indispensabili, il vero collante di internet? Quanti,
come chi scrive, fanno decine di ricerche al giorno, sono pronti a confermare
e sottoscrivere senza esitazione affermazioni come queste. Lo studio del PEW ci
dice, invece, che il 50% degli utenti potrebbe facilmente tornare ad usare altri
sistemi di reperimento delle informazioni e che un altro 17% potrebbe tranquillamente
metterli da parte dall’oggi al domani. Il 47% degli intervistati, ancora, afferma
di usare un motore di ricerca non più di una o due volte a settimana. Nell’uso
di specifici motori, infine, si rileva una sostanziale fedeltà ad un singolo
servizio (47%), con un altro 48% che ne usa due o tre.
Il dato che ha fatto più parlare è invece quello relativo al
riconoscimento tra i risultati di link sponsorizzati. Solo il 38% del campione
si dice consapevole dell’esistenza di una differenziazione tra risultati ‘normali’
e inclusioni a pagamento. Il restante 62% sostiene di non esserlo. Tutti ‘utonti’,
allora? Non proprio. Intanto, tra quanti hanno sostenuto di essere a conoscenza
della compresenza nella stessa pagina di differenti tipi di risultato, il 47%
afferma di non essere sempre in grado di distinguere. Eccoci al dunque. Altri
studi e monitoraggi citati nel rapporto di PEW, mostrano come siano pochi i motori
che adottano chiari sistemi di differenziazione, ottemperando così a precise
disposizioni della Federal Trade Commission. Il vizietto della pubblicità
occulta, del confondere le carte, insomma, è duro a morire (non solo online,
ovviamente). È quello che urta, non altro. La maggioranza degli intervistati
(il 70%) sostiene di non avere alcuna preclusione rispetto alle paid inclusion,
purché siano ben evidenziate, mentre un buon 45% si dichiara pronto ad
abbandonare un servizio nel caso venisse a conoscenza di pratiche mistificatorie.
La ricerca si sofferma nella seconda parte anche su ‘cosa’ cercano gli utenti.
Incrociando i dati del sondaggio con quelli provenienti dalle rilevazioni dei
singoli motori, ne viene fuori un quadro altre volte evidenziato dalla pubblicazione
dello Zeitgeist di Google e di altri indici simili. Il 50% delle ricerche si sofferma
su personaggi, eventi e argomenti della cultura popolare, su fatti di attualità,
su ricorrenze stagionali alla Halloween. Il resto è rappresentato da una
massa enorme di query uniche e personali che non se non restituiscono come gli
altri lo ‘spirito del tempo’, sono certo lo specchio delle manie, delle curiosità,
delle esigenze, dei drammi di tanti individui. Tra le categorie, svetta al primo
posto quella comprendente ‘Persone, luoghi, cose’, seguita da ‘Commercio, lavoro,
economia’ e da ‘Tecnologia e computer’. In caduta libera sesso e porno, che invece
la facevano da padroni agli albori di internet, guarda caso quando la popolazione
di naviganti era fatta soprattutto da giovani maschi.
Il rapporto del PEW può essere scaricato
dal sito dell’istituto [PDF, 472kb].