Nella sfida tra un colosso dell’informatica e una piccola società tedesca ha vinto la realtà minore. In questa ennesima edizione di Davide contro Golia declinata al mondo dell’informatica, i protagonisti erano la Oracle e la UsedSoft, finiti alla Corte Europea di Giustizia per una controversia in merito a una prassi originale: la rivendita di software usati. La sentenza ha stabilito che, contrariamente a quanto si poteva immaginare, l’operazione è del tutto lecita. I software scaricabili da Internet possono pertanto essere rivenduti dall’acquirente ai suoi clienti, ma non per un numero di utenti diverso rispetto a quanto originariamente autorizzato dalla licenza medesima.
Nessuna differenza, quindi, tra supporti fisici e pacchetti di software online. Secondo il colleggio giudicante, quando la UsedSoft ha rivenduto a prezzo scontato le licenze di sistemi operativi Oracle “di seconda mano” non ha compiuto nessun atto diverso dalla semplice copia di un cd oppure dal trasferimento su altro computer di un software il cui numero di copie è già stabilito. Il concetto è abbastanza chiaro (in una sentenza di 90 articoli in cui è facile, invece, perdersi):
Il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore è esaurito qualora il titolare del diritto d’autore che abbia autorizzato, foss’anche a titolo gratuito, il download della copia su un supporto informatico via Internet abbia parimenti conferito, a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentirgli l’ottenimento di una remunerazione corrispondente al valore economico della copia dell’opera di cui è proprietario, il diritto di utilizzare la copia stessa, senza limitazioni di durata.
In soldoni, significa che il detentore di un copyright esaurisce il diritto di utilizzo del software tramite il pagamento di una licenza e all’atto del trasferimento il suo cliente può utilizzarlo per un periodo illimitato e in tutti i modi che ritiene entro i limiti della licenza stessa, come se il detentore, in un certo senso, fosse lui.
Tuttavia, la CURIA ha posto due limitazioni dei diritti di rivendita, applicati al caso specifico e che d’ora in avanti faranno da giurisprudenza: nessuna partizione dei pacchetti software per evitare il numero massimo di copie, e, ancora più importante, l’acquirente della copia del programma per il quale si esaurisce il diritto di distribuzione deve fare in modo che la copia scaricata sia inutilizzabile. Cioè, se non è il distributore del software a poter dire quando si esaurisce l’utilizzo della copia, tocca a chi lo rivende.
Come si vede, la questione è decisamente complessa e l’Europa segna una congiuntura culturale con gli USA, dove da tempo la legge sostiene che il copyright non dà ai titolari il controllo sugli esemplari dei loro prodotti. Per questo la UsedSoft, tedesca, si è ispirata a quando accade anche oltreoceano: una società di intermediazione per gli impiegati di un’azienda che utilizza software in house riacquista le licenze di programmi di cui non hanno bisogno per distribuirli in modo più efficace e mettendoli a frutto. Un mercato di software scaricati che irrita le grandi società, ma che in realtà non danneggia nessuno essendo licenze già acquistate.
Oracle non ha ancora tecnicamente perso la causa, in quanto il giudizio finale spetterà al giudice tedesco che ha chiesto alla Corte europea un parere, ma la pronuncia dal Lussemburgo formerà quasi certamente la base del giudizio finale in Germania. Oracle, i cui ricavi derivano per gran parte dai contratti di manutenzione, aveva cercato di sostenere che non vende software ma solo licenze. Avendo stabilito il giudice che si tratta di una «distinzione artificiale» ha di fatto aperto una nuova strada di business a livello europeo.