Così come in precedenza Webnews ha partecipato al Salone dell’Auto di Ginevra per cercare di capire come sarebbe stata l’auto del futuro, allo stesso modo la redazione ha partecipato al Salone del Mobile di Milano per capire come si sarebbe evoluto il concetto di casa e di arredamento negli anni a venire. La sensazione ricavata è però nei due casi molto differente. Mentre nel primo caso si è avuta la tangibile indicazione di una fase esplorativa già intrapresa, nel secondo caso si è assistito invece a un immobilismo strisciante, mascherato da stupendi allestimenti e grandiosi elementi di design.
Il Salone del Mobile si è confermato una manifestazione ricca e riuscita (+20% in termini di partecipazione), peraltro vetrina inimitabile delle inalterate capacità del design e dei costruttori italiani. L’appuntamento è irrinunciabile per chiunque si interessi del mondo della casa, ma al tempo stesso c’è una mancanza da segnalare, per molti versi indicativa: al Salone è mancata una vera nota innovativa. Quel che mancava era il profumo di futuro, quella proiezione al domani che, in momenti di aria stantia, dovrebbe aiutare il mercato e le case produttrici a uscire dall’impasse.
Un immobilismo che ha probabilmente più di un motivo e che si manifesta in molti modi, ma nel quale la scommessa sulla componente tecnologica sembra all’insegna della tradizione, della conservazione. Non ci si sbilancia, insomma, come se si temesse quel che potrebbe scaturirne. O forse perché semplicemente l’innovazione costa ed è intesa come un rischio, entrambi elementi che poco hanno in comune con un periodo di crisi generale come quello attuale. Se non che il rischio ha valore soprattutto in questi momenti e che l’innovazione è spesso ciò che traghetta fuori dalle stagnazioni, se abbracciata con entusiasmo vero.
L’innovazione che non c’è
Tra i padiglioni di EuroCucina e del Salone Internazionale del Bagno ci si attendeva di vedere un segno più evidente della pulsione innovativa che la tecnologia potrebbe portare in questi ambienti. La realtà racconta invece qualcosa di molto differente: a parte le solite note di cromoterapia per l’ambiente doccia e l’evoluzione delle piastre a induzione in cucina, non si trova molto di più per nutrire il gusto di quanti vorrebbero una casa più modulare, più programmabile e più personalizzabile.
Il mondo degli elettrodomestici “smart”, soprattutto, sembra essere rimasto all’esterno del Salone, cercando espressione più nel Fuori Salone e nei comunicati di prodotto che non tra i padiglioni del polo fieristico di Milano. Un forno che suggerisce le ricette basandosi su inattendibili dati relativi all’utente catturati tramite un improvvisato smartwatch può essere definito come elemento innovativo, o non è forse semplice fumo negli occhi di un’utenza assetata di novità vere? E dove sono finiti i frigoriferi in grado di analizzare i prodotti per suggerirne un uso intelligente nel tempo? Un cestello per lavastoviglie che cambia modalità di rotazione è innovazione o è forse semplice esaurimento estremo di un processo evolutivo che non trova più sbocchi ulteriori?
Se ne esce così con una sorta di vago amaro in bocca, come se tra gli immensi viali dei padiglioni di Milano non vi fosse una risposta, ma forse nemmeno una domanda. Ed è questo il punto essenziale della questione. Il tutto, peraltro, accredita il Fuori Salone più come avanguardia che non come mero complemento fatto di mondanità (come spesso lo si descrive, non senza toni dispregiativi): se parte dell’essenza si sposta all’esterno dell’evento, l’evento stesso ha perso una opportunità. Che altri, altrove, hanno saputo raccogliere (si veda ad esempio l’installazione Samsung al Fuori Salone, ove è stata presentata una installazione pensata per fotografare una possibile casa del futuro)
Non è detto che ciò sia in termini assoluti una nota negativa del Salone 2014: semplicemente, potrebbe essere una scelta. Anche in questi termini sarebbe però una scelta opinabile, che in assenza di lungimiranza vera si tradurrebbe più in un rischio che non in una opzione conservativa. Ogni giudizio reale va dunque procrastinato alla prossima edizione, fermandosi al momento a un semplice dato di fatto: l’innovazione era sostanzialmente assente dal Salone del Mobile 2014, pur in presenza di molte altre qualità e in un contesto nel quale l’evento ne esce comunque a testa alta. Aspettando Expo 2015.
La domotica che non c’è
Il Salone del Mobile non è una fiera per soluzioni di elettronica, ma che la domotica e l’arredamento abbiano strettamente a che fare l’una con l’altro è qualcosa di ineludibile. Eppure la domotica, al Salone 2014, non c’è. O quasi.
In realtà tracce di domotica ci sono, ma non bisogna attendersi alcuna avanguardia. La prova sul campo, anzi, è stata tutt’altro che positiva: semplicistici scenari con impostazioni basilari, risposte elementari da parte di una cucina non ben organizzata per ospitare tale tipo di interazioni, il tutto all’interno di uno stand tanto fascinoso quanto poco utile a raccontare l’innovazione che tecnologie del genere potrebbero mettere in atto.
La domotica, quella vera, quella fatta di integrazione e nuove funzionalità, era di fatto assente: il concetto era presente come semplice copertina, come ipotesi futuribile all’interno di una proposta che, così come è stata delineata, è invece già qualcosa già proprio del passato. Una occasione persa per far coltura e consapevolezza attorno al tema, insomma, ma non v’è dubbio che nell’edizione 2015 del Salone dedicato all’illuminotecnica possano esserci spazi ben maggiori e di maggior visione.
Pauperismo, minimalismo o povertà?
Se il lusso ha predominato per anni nella costruzione e nella ricerca del materiale, oggi si assiste a una tendenza verso un utilizzo parco delle risorse che si traduce addirittura nella nascita di un nuovo stile, il pauperismo, figlio non unico della crisi con cui ci stiamo confrontando e padre di prodotti castigati, a volte severi, moderati nell’adozione di riferimenti figurativi
Con queste parole il blog del Salone del Mobile descrive l’evento, intravedendo nel “pauperismo” e nel “minimalismo” le due tendenze principali dell’edizione 2014. Una tendenza di design, per molti versi una risposta a fenomeni economici e sociali in atto da tempo, o ancor più probabilmente una sorta di atmosfera emergente fatta di concause intrinsecamente legate all’attuale stagnazione dell’economia. Etichettare il momento non serve però per risolverne i problemi, soprattutto quando e se l’etichetta nasconde il problema invece di cercarlo, trovarlo e metterlo in primo piano.
Non è infatti da escludersi il fatto che il settore, semplicemente, stia vivendo la crisi in ritardo rispetto ad altri comparti: soltanto con l’improvvisa battuta d’arresto dell’edilizia, infatti, il mondo dell’arredamento ha dovuto iniziare a fare i conti con la nuova realtà dei fatti. Il settore dell’automotive vive le proprie difficoltà ormai da anni e l’avventura tecnologica che sta vivendo oggi è probabilmente frutto della consapevolezza maturata nel frattempo: l’innovazione può essere un traino in grado di proiettare prepotentemente fuori dall’impasse, carpendo nuovi tipi di domanda di mercato per offrirvi risposte nuove.
Il mondo della casa, abituato da sempre al valore in crescita continua del mattone, potrebbe subire uno shock più grave di qualsiasi altro ambito se non interiorizza immediatamente la necessità di addomesticare l’innovazione, facendola propria prima che quest’ultima arriva sommergendo tutto. Cosa ha tenuto la tecnologia lontana dal Salone 2014? Perché i marchi principali hanno portato in campo più la tradizione che non la scommessa sul futuro? “Pauperismo” e “minimalismo” sono la risposta, oppure non c’è ancora la necessità di mettere sulla piazza un vero coraggio innovativo, sovvertendo le regole laddove queste ultime hanno finora funzionato senza grossi traumi?
Il salvagente del design
Una cosa è certa: il mondo della casa ha una carta fortissima quale quella del design. Il Salone del Mobile ha dimostrato come in ogni dettaglio il design per interni abbia saputo rispondere alle necessità essenziali dell’uomo, evolvendo forme e concetti con risposte esaltanti, ricche, variegate, qualitative. Il visitatore del Salone non può che uscirne con un’esperienza di arricchimento da questo punto di vista: il design è espressione di una “grande bellezza” (tanto per recuperare un mantra abusato ma significativo) che l’Italia sa ancora esprimere e interpretare con vette di eccellenza assoluta.
Ma basta tutto ciò? Altri settori hanno insegnato come l’innovazione tecnologica, quando è in grado di cambiare le regole del gioco, ha messo da parte il design ed ha avuto la meglio nel ridefinire il gusto e le scelte degli utenti. Il design è il perno attorno a cui costruire anche il futuro, ma mettendolo alla prova con nuove sollecitazioni non lo si andrebbe a sminuire, anzi: quando il design incontra la tecnologia viene a crearsi un connubio che potrebbe elargire benefici in ogni direzione, e con generosità. Le due parti sono complementari e sinergiche.
Ma l’onda presto o tardi arriva
L’utenza è disposta a pagare per avere un elettrodomestico smart? Fino a che punto vince il “bello” e dove inizia a perdere contro il “connesso”? Quale è il livello di integrazione necessaria per fare in modo che la nuova tecnologia possa far fare un passo di qualità a elettrodomestici, complementi d’arredo, rubinetteria e altri elementi dell’ambiente “casa”?
Il mondo della tecnica sembra pronta a fornire le sue risposte: nuovi tipi di elettrodomestici stanno facendo capolino e il mondo della domotica si sta evolvendo con fortissima velocità. Nuovi standard stanno per imporsi, nuovi strumenti stanno per entrare nelle case di tutti e tale rivoluzione non potrà che cambiare i paradigmi attorno a cui architettura e design hanno finora delineato le proprie progettualità.
A quel punto il Salone del Mobile dovrà aprire le porte alle nuove tecnologie. Lo farà anche il design, poiché la risposta dovrà arrivare proprio in questo ambito: come è possibile integrare l’utile al bello, il tradizionale al futuribile, all’interno di linee che siano al tempo stesso belle e integrate? Il genio italiano potrebbe dire la sua in questo frangente: se è soprattutto l’industria americana o asiatica a produrre la tecnologia, è ancor sempre l’Italia a produrre bellezza: il nostro paese potrebbe trovare un ruolo in questo passaggio di integrazione, facendo incontrare due mondi che finora si sono guardati, ma che ancora non hanno incrociato davvero i propri destini.