I cookie non hanno mai goduto di buona fama. Sin dalla loro comparsa
sul web sono stati sollevati dubbi (se non anatemi) intorno a questo meccanismo
di scambio di dati tra computer client e server web. Piccolo ripasso. Secondo
Wikipedia: “I
cookies (letteralmente ‘biscottini’) sono piccoli file di testo che i siti web
utilizzano per immagazzinare alcune informazioni nel computer dell’utente. I cookie
sono inviati dal sito web e memorizzati sul computer. Sono quindi re-inviati al
sito web al momento della prossima visita. Le informazioni all’interno dei cookie
sono spesso codificate e non leggibili per un essere umano. Furono inventati da
Lou Montulli, al tempo impiegato della Netscape Communications.”
Ecco invece cosa scriveva
nel 1997 Giancarlo Livraghi, uno dei più validi e attenti analisti
dell’evoluzione di internet, una citazione che per certi versi vale come sintesi
della vulgata sull’argomento: “L’intenzione di chi ci manda
un cookie potrebbe essere benevola: aiutarci a muoverci nel suo sito la prossima
volta che lo visiteremo, tener conto della nostra identità e delle nostre
scelte, offrirci qualcosa di particolarmente adatto alle nostre esigenze… il
cookie ci si propone come un servizio e potremmo accoglierlo con favore. Ma c’è
molta diffidenza. Per esempio, io… ho predisposto il mio browser in modo che
mi avverta ogni volta che qualcuno cerca di mandarmi un cookie. E rispondo sistematicamente
di no. Sono afflitto da incubi, in cui immagino che quel “coso” vada
in giro per il mio computer, raccolga informazioni e poi le passi a chissà
chi, insomma violi la mia privacy? Ho paura di trovarmi a dare risposte o informazioni
che non avevo intenzione di dare, o a farmi spedire qualcosa che non volevo? O
che il cookiesi trasformi in una specie di virus? Sinceramente no. Non ho segreti
da nascondere; e non credo che un semplice cookie sia così invadente e
pericoloso. Il problema è che mi irrita qualsiasi forma di intrusione.
Mi dà fastidio l’idea che qualcuno voglia analizzare il mio comportamento
o predisporre i miei meccanismi di risposta senza avermi spiegato le sue intenzioni.”
Ben presto la questione ha iniziato a interessare anche il legislatore alle
prese con direttive e leggi sulla privacy che non potevano più trascurare
quanto accade in rete. Una ricerca tra gli articoli di InterLex
fornirà un panorama esaustivo degli interventi in materia.
L’accostamento a temi sempre scottanti come privacy e sicurezza non
poteva non produrre alla lunga i suoi effetti. Crescendo la consapevolezza da
parte degli utenti, è cresciuto anche il numero di quelli che sistematicamente
eliminano dal proprio PC ogni traccia dei famigerati ‘biscottini’. La campagna
anti-cookie, tra l’altro, è spesso portata avanti da compagnie software
che producono sistemi antispyware, con un’equiparazione che francamente sembra
eccessiva.
L’ultimo studio
disponibile su questa tendenza è quello pubblicato da Jupiter Research
lo scorso mese di marzo. I risultati mostrano che ci sarebbe un 17% di utenti
che elimina i cookie dal proprio PC una volta a settimana; un buon 12%, invece,
lo fa mensilmente, mentre a fare piazza pulita ogni giorno sarebbe il 10%. E che
si tratti di un fenomeno legato all’accresciuta conspevolezza (o paranoia) in
tema di privacy e sicurezza, lo dimostra un altro dato, quello relativo alla percentuale
di visitatori che bloccano cookie di terze parti, una percentuale in vistosa crescita
negli ultimi due anni.
Ad essere preoccupati da questi dati sono soprattutto uomini marketing ed
editori: se si parla di pubblicità, i cookie sono un fondamentale strumento
di misurazione e monitoraggio. Jeff Jarvis, fondatore di Entertainment
Weekly e divenuto di recente super-consulente editoriale di About.com, ha espresso
di recente opinioni
molto chiare al riguardo, elevando questa sorta di ‘inno al biscottino’: “A
me i cookie piacciono. I cookie sono un bene. Sono nostri amici. I cookie ricordano
la mia password se io la dimentico. Ricordano quale pubblicità ho visto
in modo da non doverla più rivedere. Soprattutto i cookie consentono di
misurare con più accuratezza il pubblico e il traffico in modo tale che
gli inserzionisti possano pagare per supportare i siti che mi piacciono. Io penso
che abbiamo bisogno di più cookie”.
E allora, cosa succede quando una certa specie rischia l’estinzione? Nasce
il comitato di difesa, ovvio. Quello che si propone di lottare per la salvaguardia
dei cookie si chiama Safecount.
È un consorzio, formato su base volontaria, che riunisce rappresentanti
di aziende dell’hi-tech, di centri media, editori, agenzie pubblicitarie e professionisti
del marketing. Gli obiettivi sembrano essere due. Intanto quello di replicare
sul piano della divulgazione alle iniziative di quanti continuano a presentare
i coookie come una minaccia grave per privacy e sicurezza. Al contempo, l’attività
dei promotori è rivolta alla ricerca di soluzioni di misurazione e monitoraggio
in grado di coniugare gli interessi degli utenti e quelli di editori e inserzionisti.
Ce la faranno? Se la battaglia viene giocata sul piano della trasparenza e della
corretta informazione, può funzionare. È lecito avanzare dubbi,
invece, se i metodi saranno simili a quelli intrapresi da United Virtualities.
Questa azienda americana ha creato un sistema basato su Macromedia Flash e chiamato
PIE (Persistent Identification Element). Cosa fa? Crea automaticamente e segretamente
una copia di backup dei cookie prima che essi vengano eliminati. Se questa è
la via, non potremmo che salutare con gioia l’avvento dell’anti-PIE.