La prima testimonianza dell’utilizzo del termine selfie risale al settembre 2002, con l’intervento di Nathan Hope su una board di discussione australiana, “Dr Karl Self-Serve Science Forum”. Nell’occasione, l’utente si scusava per la pessima messa a fuoco dell’immagine.
Chiedo perdono per il focus, è un selfie.
All’epoca nessuno immaginava che, di lì a pochi anni, sarebbe diventata una parola diffusa a macchia d’olio, per identificare un tipo di fotografia ben preciso: l’autoscatto.
Scattare un selfie è semplice: basta attivare la fotocamera del proprio smartphone, meglio se quella frontale, sorridere ed il gioco è fatto. Ottenere un buon selfie, però, è un’altra cosa. È questione di inquadratura, serve il giusto atteggiamento e non guasta un minimo di abilità con gli strumenti di post-produzione. Senza scomodare regole avanzate e complesse legate alla composizione (sezione aurea, divisione dell’immagine in terzi ecc.), è bene tenere conto di alcuni fattori prima di premere il pulsante e condividere sui social un risultato poco soddisfacente.
Impostazioni: manuali o automatiche?
Si parta da un presupposto: la fotocamera di uno smartphone, sebbene composta da elementi molto diversi, funziona in modo del tutto simile a quella di una reflex, di una mirrorless o di una compatta. Allo stesso modo cattura la luce e la convoglia ad un sensore. Alcuni telefoni permettono di agire su impostazioni manuali come la sensibilità ISO, l’apertura del diaframma o il tempo di otturazione, utili per ottenere una corretta esposizione. Se lo si può fare, per un buon selfie è utile regolare al massimo l’apertura del diaframma (su valori bassi, ad esempio f/1.8 o f/2.2), così da ottenere l’effetto bokeh che mette a fuoco il soggetto inquadrato e applica una suggestiva sfocatura allo sfondo.
Se ci si trova in un ambiente poco illuminato può tornare utile scegliere una sensibilità ISO elevata (800 o più), ma si faccia attenzione a non esagerare per non correre il rischio di generare troppo rumore nello scatto. Infine, per quanto riguarda il tempo di esposizione, si può lasciare che sia lo smartphone a gestirlo. In linea di massima è bene non andare mai oltre 1/100 di secondo, per evitare uno sgradevole mosso o micromosso. Altro consiglio: evitare gli scatti in controluce, poiché si otterrebbe un cielo molto chiaro (quasi certamente bianco bruciato) e il soggetto nero a mo’ di silhouette.
Chi invece non si vuol preoccupare di tutti questi parametri può affidarsi agli automatismi delle applicazioni fotografiche, che in accoppiata con i sensori sempre più evoluti equipaggiati dai modelli recenti si comportano solitamente molto bene. Alcuni dispositivi, inoltre, integrano un flash frontale o sfruttano la luce emessa del display per illuminare i volti durante i selfie.
Le app: effetti, filtri e ritocchi
Una volta appresi i fondamentali, è tempo di decidere con quale applicazione scattare l’immagine. Oppure, se la fotografia è già stata realizzata, a quale software affidarsi per apportare qualche ritocco e ottimizzazione prima di condividerla. La più nota, nonché una delle più semplici da utilizzare, è senza dubbio Instagram. L’app include molti filtri ed effetti di tipo artistico, strumenti di base come quello che consente di ritagliare una porzione dell’inquadratura, cornici, vignettatura e la regolazione veloce di luminosità, contrasto, nitidezza ecc. Il risultato andrà però poi caricato sul social.
Una delle migliori applicazioni per chi desidera salvare il risultato nella memoria interna o condividerlo in privato è invece Snapseed, disponibile in download gratuito sia per Android che su iOS. Sviluppata dal team Nik Software (acquisito da Google), offre funzionalità avanzate come l’editing dei file RAW, una modalità per simulare l’HDR, la rotazione automatica delle immagini in base ai contenuti dello scatto, tool per la regolazione selettiva e un gran numero di filtri. I risultati ottenuti sono quasi di tipo professionale.
E il selfie stick?
Nel saggio “Psychology of the Digital Age: Humans Become Electric”, John R. Suler definisce il boom dei selfie come un fenomeno tipicamente narcisistico, talvolta involontariamente correlato ad una bassa autostima. Un gesto attraverso il quale ci si presenta agli altri dando un’immagine di sé ben precisa, veicolata in una forma solo apparentemente naturale e superficiale. La verità è che mettersi in posa per un autoscatto richiede preparazione: così come ogni altro tipo di fotografia, trasmette un messaggio e di conseguenza e bene accertarsi che non sia un messaggio differente da quello voluto.
Inquadrarsi dall’altro o dal basso ha un significato differente, così come mettere in evidenza l’ambiente che ci circonda permette all’osservatore di sapere dove ci si trova. Reggere lo smartphone con una mano a breve distanza porterà ad avere immagini in cui il proprio volto occuperà gran parte dell’inquadratura, mentre affidarsi ad un selfie stick consente di ottenere scatti dal respiro più ampio, che includono interi gruppi di persone.
In conclusione, l’unico consiglio davvero sensato è quello di contare fino a dieci (lentamente, più volte) prima di condividere pubblicamente un autoscatto realizzato in fretta o in maniera maldestra. Se si è alla ricerca di approvazione o like, si potrebbe ottenere esattamente l’effetto contrario. Un boomerang mediatico, una gogna pubblica 2.0 in cui ci si mette la faccia. Attenzione: la Rete non dimentica.