«”Come governo non posso far finta che il problema non esista. Possiamo solo fare opera di moral suasion». Questa frase del viceministro alle comunicazioni, Paolo Romani, sembra poter essere la chiave di lettura dell’intera situazione. Ormai è un gioco a tre. Telefonica, da una parte, con gli interessi di parte maturati sul mercato italiano. Telecom Italia, dall’altra, nella sua necessità di mediare i problemi ereditati dal passato e quelli che già proiettano ombre dal futuro. Il Governo, in mezzo, nel tentativo di forzare la situazione per ottenere quanto auspicato.
Un elemento tiene uniti tutti e tre gli attori: la Rete. E proprio la Rete potrebbe quindi diventare lo snodo cruciale nel futuro equilibrio per il controllo di Telecom. Nell’ipotesi per cui Telefonica possa aumentare il proprio peso nella proprietà dell’incumbent, infatti, Romani spiega che «se una società multinazionale, non italiana, acquisisce un’azienda italiana radicata in Italia, quell’azienda può decidere prima o dopo di delocalizzare perchè la testa non starebbe in Italia». Secondo Vincenzo Novari, CEO 3 Italia, gli effetti deleteri di Telefonica già si riversano sulla Rete poiché ne bloccano già ad oggi lo sviluppo della stessa, qualcosa che Telecom Italia smentisce con forza.
Romani, però, avvia la propria “moral suasion” fin dal concetto successivo: «la rete non può essere delocalizzata perchè è radicata nel nostro territorio, però una governance non a maggioranza italiana, quindi nel caso di un’eventuale fusione o qualsivoglia altro meccanismo societario, può decidere di investire di più in altri paesi come il Brasile, l’Argentina o la Spagna. Il rischio quindi che venga impoverita la struttura italiana c’è ugualmente». La minaccia è silente: se avverranno operazioni al di fuori dell’interesse nazionale, lo Stato potrebbe muoversi per chiedere lo scorporo della Rete e salvaguardare una struttura a sua volta di assoluto interesse nazionale.
L’obiettivo vero non è però lo scorporo, più volte negato dal viceministro alle Comunicazioni. Paolo Romani, piuttosto si appella a Mediobanca e Intesa Sanpaolo: gli azionisti italiani veglino sull’azienda. Conservato lo stato dei fatti, occorre quindi andare oltre e pensare a come la Rete esistente possa essere aggiornata: «Siccome l’investimento è forte e Telecom Italia non è in grado di affrontarlo, perchè il ritorno economico non è immediato, è un problema di come abbinare la rete esistente alla rete in fibra che dovrà essere fatta». A tal proposito non sembrano esserci sostanziali passi avanti: gli attori del mercato dovranno trovare un accordo e se Telecom Italia vorrà mantenere la proprietà dell’infrastruttura dovrà garantire la gestione italiana del gruppo e parità d’accesso alla NGN da parte della concorrenza.