Il rapporto tra la scuola e la tecnologia è complesso per molti motivi, tutti legati in qualche modo al fatto che una istituzione sedimentata nei secoli attorno alla carta fatica a scostarsi dai modelli precostituiti: un problema economico, culturale, organizzativo e molto altro ancora. Ora che i tablet tentano lo strappo definitivo, cercando di cambiare una volta per tutte il paradigma, il problema si solleva con gran polverone, senza però che al momento sia ancora stata trovata una soluzione.
Negli Stati Uniti, ove una maggior propensione allo strappo è avvertibile sia dal punto di vista culturale che economico (gli interessi dei grandi produttori di tablet sono una forza propulsiva che all’Italia, ad esempio, manca), è lecito attendersi che qualcosa possa muoversi fin da subito. E per certi versi è così. Tuttavia, secondo quanto segnalato da Carmel Deamicis per Pandodaily, non è tutto oro quel che luccica. Anzi: la realtà racconta di un alto numero di progetti (e milioni di dollari) buttati nel cestino per una serie di complicazioni che non hanno reso praticabili i progetti educativi messi in atto sull’idea del tablet e dell’innovazione nell’insegnamento.
Ricerche e teorie non sono bastate, insomma: nella realtà Texas, Missouri, North Carolina ed altre istituzioni hanno dovuto abbandonare i rispettivi programmi pedagogici basati su app e touch. Il colpo di grazia alle speranze di improvvisati innovatori del settore viene da Los Angeles, dove il distretto scolastico aveva messo a bilancio 30 milioni di dollari presto rivelatisi un fallimento.
Sarebbe però a questo punto estremamente superficiale girare pagina e fare un passo indietro: più che i fallimenti, sono importanti i motivi a monte degli stessi. Tra gli altri:
- il budget previsto non si è rivelato sufficiente: l’acquisto dei tablet avrebbe richiesto denaro ulteriore;
- gli studenti hanno presto aggirato le protezioni ed utilizzato i tablet per finalità ben differenti a quelle per cui son stati predisposti;
- ai costi per l’acquisizione dei device si sono aggiunti altri costi quali periferiche (tastiere) e soluzioni per la sicurezza, inizialmente non previsti.
Il motore della pulsione innovativa non è tanto nel device utilizzato in sé, quanto nella volontà di arrivare a sistemi di insegnamento “one-to-one” invece del “one-to-many” tradizionale. Confondere fine e mezzo potrebbe essere però estremamente deleterio, poiché lo strumento non può essere identificato con l’uso che ne vien fatto. Giudicare come dannosi a prescindere i tablet nella scuola sarebbe dunque un errore ingenuo. Tuttavia, ancor più ingenuo è l’atteggiamento contrario: il tablet non è la soluzione, anche se potrebbe suggerire i prossimi passi da compiere in termini di modelli di insegnamento, sviluppo di applicazioni, coordinamento dei processi ed altro ancora.
L’entusiasmo fanciullesco per l’innovazione è spesso un limite alla crescita reale; l’ambizione, invece, va coltivata. Perché migliorare si può, anzi: si deve. Ma occorre ripartire dal fine, invece che dal mezzo: se poi il tablet sarà la risposta, allora ci si sarà arrivati meglio, attraverso un percorso più intelligente, e sviluppando tutto quanto necessario per consentire una reale ed efficiente trasmissione del sapere alle generazioni del futuro.