Le notizie pubblicate dal Financial Times stanno incidendo pesantemente sulla situazione in borsa di Google e di Baidu. In ballo, infatti, vi sono milioni di dollari, tutti dipendenti semplicemente da un “si” o da un “no”. In ballo v’è un terremoto improvviso e la logica vuole che tutto ciò che avviene improvvisamente è in grado di generare rischi ed opportunità. La borsa sta identificando i primi in Google ed i secondo in Baidu, ma come sempre il tasso di rischio è in questi casi elevato ed il pericolo viaggia in diretta proporzione con l’ampiezza delle possibilità che emergono.
Per le azioni Baidu sono queste ore positive: se Google uscisse dal mercato rimetterebbe in discussione una quota di mercato pari al 36% circa ed una grossa fetta potrebbe finire direttamente nelle mani del motore dominante: Baidu, quindi, potrebbe facilmente passare dal 58% attuale al 70% circa senza colpo ferire. La parte restante potrebbe andare in condivisione tra le altre soluzioni possibili e la stessa Microsoft potrebbe avvantaggiarsi della situazione per proporre il proprio Bing. Tutto, comunque, rimane nell’alveo delle ipotesi: al momento il 99.9% di possibilità del fallimento delineato dal Financial Times non sono una certezza e, anzi, la percentuale sembra certificare soltanto uno spiraglio di trattativa ancora aperto.
Google, nel frattempo, cede al Nasdaq dopo una giornata passata in territorio negativo. Il motore soffre della tensione accumulata (non soltanto sul campo cinese) e, nonostante l’ottimo andamento dei propri prodotti e servizi lungo tutta la linea, il valore espresso in borsa è minore rispetto a quello degli anni passati, quando l’entusiasmo era un traino ed i risultati erano delle solide conferme.
Da qualche ora le istituzioni cinesi avrebbero contattato i partner Google ricordando loro come la legge cinese valga per tutti. Se dunque Google non vorrà ottemperare alle leggi della Repubblica Cinese dovranno comunque farlo i partner, il che mette alle corde chiunque ad oggi stia collaborando con Google sul territorio orientale. Per la Cina è questa l’estrema pressione su di una situazione apparentemente compromessa, ma che nessuno sembra ancora voler tagliare definitivamente. Il 36% del mercato di Google, insomma, ad oggi è ancora a Mountain View. Se qualcosa dovrà cambiare, sarà un passaggio progressivo e probabilmente non privo di ripensamenti e nuovi tentativi di accordo.
Interessante l’intervista proposta da BusinessWeek sull’argomento. La testata ha infatti tentato di estrapolare un’opinione sul caso da Kai-fu Lee, ex-responsabile delle attività in Cina (dimissionario a fine 2009) che con una prova di forza Google ha strappato a suo tempo dalle mani della rivale Microsoft. Kai-fu Lee, però, oggi sembra volersi estraniare dal braccio di ferro con le autorità cinesi: considera il mercato cinese «sufficientemente aperto», premia l’evoluzione avvenuta rispetto al passato, ma si dedica alla propria nuova attività e non sembra voler tornare sui suoi passi: Google faccia la sua strada, Kai-fu Lee sembra a questo punto volersene tagliare definitivamente fuori.