È un causa legale piuttosto complessa quella intentata da Waymo, la divisione di Alphabet al lavoro sulla guida autonoma, nei confronti di Uber. L’accusa è quella di aver sottratto documenti e informazioni strettamente riservate e relative alla tecnologia self-driving sviluppata dal gruppo di Mountain View, per poi consultarli e utilizzarli senza autorizzazione.
Del caso si è già parlato nel mese di febbraio, quando la questione è giunta nelle aule di tribunale. Oggi si torna a farlo, in seguito alla diffusione delle carte processuali da parte della corte. Alcuni passaggi sono sfuggiti all’occhio di chi avrebbe dovuto celare dettagli da non rendere pubblici: si scopre così che, oltre a Anthony Levandowski, sul banco degli imputati è finito anche Lior Ron, co-fondatore di Otto, startup specializzata nella creazione di un sistema di guida autonoma da applicare ai camion per il trasporto merci, acquisita lo scorso anno da Uber (con un investimento pari a 680 milioni di dollari) e inglobata nell’organico della società.
Stando alla tesi sostenuta da Waymo, i due avrebbero cercato di reclutare personale impiegato da Google sulla base delle informazioni confidenziali trafugate, comprese quelle riguardanti gli stipendi. Il gruppo di Mountain View sottolinea inoltre di averli pagati più di quanto dovuto, compensandoli con incentivi e bonus poiché certo della loro fedeltà, poi tradita con la sottrazione dei documenti che ha dato il via al caso.
Nessuna delle due aziende ha voluto rilasciare commenti su quanto sta accadendo. Se il giudice dovesse riconoscere la validità dell’impianto accusatorio di Waymo, Uber potrebbe essere costretta a fermare le proprie self-driving car, già in circolazione per offrire un servizio ai passeggeri negli stati del Pennsylvania, dell’Arizona e in California.