Un working paper dell’Harvard Business School demolisce alcuni luoghi comuni secondo i quali il peer-to-peer causerebbe perdite significative alle industrie che producono contenuti. Difficile da sostenere se si considera che, dopo il 2000 (ovvero gli anni che corrispondono allo sviluppo del peer to peer) il numero degli album usciti nel mondo è raddoppiato e la produzione di film è cresciuta del 30%.
Non è il solo argomento debole dei discografici. Gli studiosi di Harvard hanno determinato che un campione di 5.600 consumatori paganti di iTunes ha in media 3.500 canzoni scaricate, ma ha ascoltato solo il 36% dei pezzi. Diventa quindi difficile sostenere che chi ha scaricato 10.000 pezzi ha evitato di pagare 10.000 canzoni, perché buona parte di quanto si scarica non viene poi ascoltato.
Lo stesso studio indica che il 65% del campione non ha comprato un album perché lo avevano scaricato con il P2P, mentre l’80% afferma di aver comprato un disco dopo aver scaricato qualche pezzo su un network di file-sharing.
Le conclusioni parziali (il working paper rappresenta uno studio ancora in fase di lavorazione) sono senza appello: la pirateria è benefica per la produzione artistica, ma uccide alcuni modelli di business che hanno una visione erronea dei diritti d’autore.