Nella giornata di ieri Webnews si era posto il quesito: è più importante il fatto che Facebook abbia effettivamente sfruttato dolosamente i propri trend per plasmare l’opinione pubblica, oppure la sola possibilità di farlo è già di per sé qualcosa degno di attenzioni? Lo stesso quesito se lo è posto anche una commissione del Senato USA, da cui giunge una ferma richiesta di chiarimenti a cui Facebook dovrà ora rispondere compiutamente.
I fatti sono quelli emersi nelle ultime ore a seguito delle rivelazioni di un ex-dipendente del gruppo che intende rimanere nell’anonimato: a suo tempo, nella funzione della sezione Trending Topic (ad oggi non ancora attiva in Italia) avrebbe ricevuto istruzioni precise finalizzate ad affossare tematiche di scarso interesse per favorire temi differenti e calibrare meglio l’approccio solo-algoritmico a questo tipo di valutazioni. Soprattutto, le istruzioni avrebbero previsto altresì una sorta di morbida censura per tematiche vicine al mondo dei Conservatori, il che potrebbe probabilmente penalizzare i repubblicani nella corsa alla Casa Bianca.
Molte e dettagliate le richieste che il Senato pone a Facebook a breve giro di posta: come funziona la sezione Trending Topic, Se c’è effettiva manipolazione degli algoritmi, cosa stia facendo il gruppo per capire se ci siano state eventuali manipolazioni, cosa contengano le linee guida affidate agli editor responsabili, come siano state partorite tali regole, come sia verificata l’applicazione delle stesse e molto altro ancora.
Il Senato, insomma, ha mosso immediatamente un passo formale con una duplice conseguenza: da una parte la notizia assume ulteriore rilevanza, essendo evidenziate le conseguenze potenziali di un problema di questo tipo; dall’altra il Senato assume una posizione di equilibrio e distanza, eseguendo una semplice richiesta di documentazione da portare agli atti per una valutazione più seria e completa della situazione. L’obiettivo è quello di non veder insabbiata nel silenzio la vicenda, ma di alzare piuttosto i toni immediatamente affinché il social network possa sentirsi sotto pressione e si trovi obbligato a spiegare alcune delle dinamiche che regolano le dinamiche editoriali sulle bacheche di milioni di elettori.
La firma alla richiesta è quella del senatore repubblicano del South Dakota, John Thune. Non v’erano peraltro dubbi sul fatto che la bolla sarebbe scoppiata per mano dei repubblicani: Mark Zuckerberg ha espresso tutta la propria antipatia nei confronti di Donald Trump ed ha anche lasciato intendere che sarebbe stato disposto ad agire attivamente per rallentarne la corsa alla Casa Bianca, il che ha esasperato gli attriti già mal celati tra conservatori e Silicon Valley.
La risposta di Facebook è altrettanto formale: ogni domanda avrà la sua risposta e ogni fatto avrà la sua verifica. Il social network al momento prende tempo per controllare che tutto sia stato eseguito nel migliore dei modi e si prepara a consegnare al Senato tutto il materiale richiesto.