Si potrebbero incontrare nella metropolitana, riconoscendoli grazie alla maglietta che indossano, con scritto “I’m an hot spot”, ma non sono nerd: sono homeless. Senzatetto. “Barboni”. Un progetto a metà tra il marketing e l’esperimento sociale sta facendo molto discutere: è giusto trasformare individui in una pura funzionalità, anche se per uno scopo a metà tra il nobile e lo strumentale?
Secondo quelli di Bartle Bogle Hegarty ovviamente sì: il progetto HomelessHotSpot dovrebbe prendere tutto quanto fatto di buono con la vecchia iniziativa dei giornali distribuiti sotto la metropolitana a prezzo libero, ma stavolta in una chiave tecnologica più avanzata. Il concetto è semplice e lo spiegano loro:
La nostra speranza è di creare una versione moderna di questo modello di successo, offrendo ai senza tetto la possibilità di vendere un servizio digitale al posto di un bene materiale. I cittadini potranno sborsare quanto desiderano per accedere alle reti 4G effettuate dai nostri collaboratori. Questo servizio ha lo scopo di agire sulla domanda di migliore connessione.
La tecnologia portatile fornita ai senza tetto – sul sito ufficiale una mappa aggiornata mostra chi sono, dove si trovano e racconta la loro biografia per sottolinearne la dignità di esseri umani con una funzione ed una posizione precisa – è interessante e certamente utile: in pratica ci si potrà accostare, loggarsi dopo aver pagato un paio di dollari e navigare a velocità e stabilità superiori rispetto a quanto offerto di default dai propri device (smartphone o tablet).
Le perplessità però sono altrettanto chiare: è realmente dignitoso per una persona, anche quella più disperata, indossare una maglietta che lo indica come un hot spot per una connessione veloce? Può essere considerato semplicemente alla stregua di un lavoro come un altro? Inoltre: funzionerà?
John Mitchell, su Read Write Web, dopo aver letto la notizia sul NyTimes, ha cercato di saperne di più. Un piccolo reportage utile, prima di tutto, a chiarire che non si trattava di un fake come molti su Twitter erano pronti a giurare. Anche se il valore simbolico è probabilmente più importante del potenziale successo economico. Il giornalista newyorchese è dubbioso sul parallelo con la distribuzione dei giornali:
Quei giornali erano scritti dai senza tetto. Qui, al contrario, diventano pezzi inermi di un privilegio, estendono l’infrastruttura. Possibile che non sia venuto in mente alle persone dietro questa campagna per quale motivo la gente legge i giornali di strada? Probabilmente per essere gentili, e poi gettarli nella spazzatura.
Le priorità della campagna però sono altre e sono spiegate dagli stessi responsabili. Si tratta di un’operazione che punta sulla socialità: comprare un giornale è un gesto veloce e senza scambio, mentre accedere attraverso un hot spot umano richiede poi di passare del tempo con lui. O quantomeno nelle immediate vicinanze.
Arduo prevedere come si svilupperà, ma forse un primo risultato la campagna l’ha già ottenuta: costringere a una riflessione non banale sul digital divide come metafora odierna delle ingiustizie e delle povertà che abbiamo sotto gli occhi. Non vedere un senzatetto mentre si esce a testa bassa dalla metro è normale, non vederlo mentre grazie a lui aggiorni il tuo blog è più difficile.