Al secondo giorno del Festival del Giornalismo di Perugia viene affrontato in qualche modo quello che è il nucleo vitale del tema: l’evoluzione del settore, il ruolo della Rete e la consistenza dell’informazione in quella che è nota come la trama del potere. La parola è lasciata alla Lectio Magistralis di Sergio Romano “Giornalismo, poteri e responsabilità“, noto editorialista del Corriere della Sera. Nel suo intervento Romano parte anzitutto dalle debolezze del giornalismo, offrendo un punto di vista indirizzato con grande chiarezza: non sono le minacce esterne a mettere in crisi il giornalismo, quanto più le sue debolezze interne, la sua fragilità al cospetto di una situazione economica variata e la sua incapacità di rispondere a quelle che sono le sollecitazioni provenienti dalla Rete.
Un vizio comune che Romano vede tanto nel giornalismo quanto nelle manifestazioni informative della Rete è nella tendenza a “confermare” invece di “informare”. L’utente cerca più una conferma alle proprie tesi che non un riferimento con cui mettersi a confronto. Le convinzioni (ed i preconcetti) personali risultano pertanto annichiliti dal cosiddetto “Daily Me”, l’ipotetico giornale online che ognuno potrebbe comporre quotidianamente, in automatico, basando le proprie scelte sulle proprie convinzioni individuali. Ne esce un format che apporta piena soddisfazione al lettore, ma che alla lunga apporta molto poco nella costruzione di una buona società.
Il giornalismo cartaceo non fa alcunché di diverso, anzi: la tendenza a “confermare” viene riversata in giornali di partito che sminuiscono l’informazione in un bollettino di battaglia quotidiana, ove il presenzialismo ed il protagonismo della politica occupano colonne su colonne in attesa che l’attenzione si consumi ed il potenziale scandalistico suggerisca di investire su qualcosa di nuovo. Tutte queste parole non fanno però “sistema”, non giungono a conclusione alcuna e servono più che altro a conservare uno status quo o ad ottenere il massimo risultato (commerciale) con il minimo sforzo (giornalistico).
Sergio Romano non mette propriamente uno contro l’altro il Web ed il cartaceo. Nemmeno, tutto sommato, mette uno contro l’altro la blogosfera ed il giornalismo. Semmai Romano punta l’indice contro i vizi dell’una e dell’altra parte.
Al giornalismo tradizionale viene criticata la rincorsa ai blog, sottolineando peraltro il paradosso di un Ordine che dovrebbe, per supportare la propria ragion d’essere, quantomeno pretendere il rispetto di alcune norme deontologiche fondamentali.
I blog, per contro, vengono sminuiti senza appello. Il loro ruolo non può essere quello di una sostituzione in toto del giornalismo, ma sono piuttosto «il buco della serratura» ove si mischiano ottimi spunti con basso chiacchiericcio. Ove le ambizioni personali si confondono con analisi di basso profilo e dove il pettegolezzo regna sovrano. Inevitabilmente il discorso si fa massimalista poiché, come sottolinea in piena coscienza Romano, oltre cento milioni di blog non possono essere, nella loro globalità, un fenomeno completamente costruttivo. L’analisi, anzi, in qualche modo mette alla pari i blog e le vecchie radio indipendenti: entrambi diventano una forma di protesta sociale, ma entrambi verranno prima o poi “riassorbiti” dal sistema. I migliori proseguiranno l’attività trasformandola in una professione organizzata, gli altri si perderanno. Il basso costo e la semplicità di accesso allo strumento ha reso i blog uno strumento enormemente potenziato rispetto alla manifestazione delle radio libere (le quali richiedevano maggiori investimenti in tempo e denaro), ma non per questo uno strumento migliore.
Romano ha poi messo il dito nella piaga: la pubblicità. Il cambiamento imprenditoriale che ha circondato il mondo del giornalismo cartaceo ha imposto una sempre maggior invadenza della pubblicità nei meccanismi di redazione, il che ha minato alla base la qualità di buona parte del comparto. Con l’arrivo della crisi economica non solo gli inserzionisti hanno deciso di investire meno, ma hanno anche optato per forme maggiormente redditizie. La pubblicità si è allontanata così dal cartaceo per andare a ravvivare la realtà online, ottenendo uno spostamento degli equilibri che oggi premia ad esempio Google rispetto a qualsivoglia forma cartacea di informazione. Secondo Romano trattasi di uno spostamento ovvio e naturale: Google può ottimizzare le pubblicità, cosa che un giornale non potrà mai fare. L’imprenditoria in primis, ed il giornalismo poi, dovranno imparare ad accettare questa nuova realtà. Secondo SERGIO Romano è un percorso di sofferenza, «rimarranno molte vittime sulla strada», ma è un percorso obbligato dal quale ne uscirà chi avrà saputo interpretare al meglio il momento.
Il giornalismo, insomma, non morirà di certo. Anzi, se ne sente sempre più il bisogno. C’è sete di notizie e c’è fame di opinioni. A cambiare saranno le forme imprenditoriali a supporto. E il cambiamento è già iniziato.