Una compiuta regolamentazione del fenomeno della sharing economy, in Italia, secondo un approccio aperto e costruttivo. Lo scopo della proposta di legge presentata alla Camera dall’Intergruppo parlamentare per l’innovazione è quello di regolamentare senza punire, di accogliere tutti i vantaggi di questa nuova economia senza i difetti. Bastano i numeri: con regole fiscali idonee a queste realtà si potrebbero recuperare 450 milioni di euro di elusione, ed entro il 2025 il nuovo gettito sarebbe di circa 3 miliardi di euro.
Airbnb e con lei numerose altre piattaforme hanno stravolto l’economia mondiale. Sulla base di un concetto quasi banale: condividere le risorse esistenti e usare le applicazioni per fornire servizi puramente remunerativi dove sono le persone stesse, fisiche o giuridiche, a mettere a disposizione un bene fisico o immateriale a un’altra persona. Una propria capacità, l’automobile, il proprio tempo, persino la propria casa o semplicemente il divano. La sharing economy progredisce a tassi incredibili e inarrestabili, però trascina con sé anche problemi collegati alla divisione sociale del lavoro e a una fiscalità che è ancora quella dell’industria precedente.
Così l’economia collaborativa basata sull’accesso e non sul possesso, approfittando anche della crisi del modello precedente, è cresciuta senza norme che ne regolassero l’attività. Già nel convegno del 2014, l’Intergruppo aveva raccolto le esperienze delle principali piattaforme per capirle meglio e trovare la cornice ideale per il loro sano sviluppo. «È una proposta di legge, l’inizio di un cammino, non un punto di arrivo», tiene a precisare Antonio Palmieri, uno dei deputati del gruppo che insieme a Veronica Tentori, Stefano Quintarelli, Ivan Catalano, hanno presentato il testo.
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— Stefano Quintarelli (@quinta) March 2, 2016
La nuova legge, già consultabile nasce con due intenti principali: riconoscere le qualità positive della sharing economy individuandone i soggetti; affidare a una autorità il compito di valutarne le policy secondo principi chiari e semplici. Il risultato finale dovrebbe essere, se tutto va bene, un paese che avrà status giuridico degli operatori e relativa fiscalità, garanzie per i consumatori in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati alla sicurezza, alla salute, alla privacy e alla trasparenza sulle condizioni che stanno alla base del servizio o del bene utilizzato.
Per chi se l'è persa qui la conferenza stampa #leggesharingeconomy @VeronicaTentori @Montecitorio @flavia_marzano https://t.co/FB3kDmVuP0
— Anna Masera (@annamasera) March 2, 2016
La policy di una piattaforma di sharing economy secondo la proposta di legge deve considerare le condizioni contrattuali, il controllo dell’esecuzione del servizio, la fissazione di tariffe obbligatorie per gli utenti operatori, l’eclusione in caso di discriminazione ingiustificata dell’utente (queste ultime due norme sembrano fatte apposta per escludere Uber dal perimetro), norme sulla cessione gratuita dei diritti intellettuali, sui commenti critici, sulla promozione dei servizi, l’obbligo di fornire il consenso a cedere a terzi qualunque dato utente e infine l’obbligo all’uso del pagamento elettronico.
Le idee forti
Composta da 12 articoli, la proposta AC 3564 depositata alla Camera (pdf) ha una lunga introduzione dove spiega bene come in generale l’innovazione non rappresenta solo una questione che ha a che fare con la tecnologia, ma rappresenta qualcosa di più profondo «che coinvolge mutamenti sociali e culturali, nuovi stili di vita e nuovi modelli di sviluppo, mettendo a sistema l’intelligenza diffusa dei cittadini per creare cultura, lavoro, diritti e qualità sociale». È un testo ottimo, a una prima occhiata, per come sa partire dai dati di diffusione (secondo uno studio di Collaboriamo.org e della Cattolica le piattaforme collaborative nel 2015 sono 186), la loro distribuzione e una certa fatica di questi servizi a crescere e a raggiungere la massa critica.
Assumendo una responsabilità da legislatore, la proposta dell’Intergruppo Parlamentare è orientata sì alla regolamentazione, ma anche allo sviluppo di questa economia, dunque gli interventi sono sempre trasversali ai diversi settori professionali coinvolti. Si interessa dello scenario. Le idee forti sono soprattutto tre:
- AGCM e registro nazionale. Si affida all’Autorità Garante della Concorrenza il compito di regolare e vigilare sull’attività delle piattaforme digitali di sharing economy, specificandone le competenze. Si istituisce al contempo il Registro elettronico nazionale delle piattaforme di sharing economy. Veronica Tentori ha precisato che si tratterà di regole base, dove saranno le piattaforme a fare delle proposte, per non incidere sulla creatività e peculiarità di ogni piattaforma, ma seguendo dei principi. In questo modo l’autorità potrà aiutare la piattaforma a stendere una policy adeguata e a non incorrere in eventuali notifiche, ad esempio, per concorrenza sleale.
- Piattaforme come sostituto d’imposta. Se ne parla da anni e se diventasse realtà sarebbe una rivoluzione. La proposta dello sharing economy act è quella di stabilire una soglia per le integrazioni del reddito derivante dall’uso di queste piattaforme nel limite dei 10 mila euro l’anno, con una aliquota del 10%. Oltre questa soglia, dove sono le piattaforme a fare da sostituto d’imposta, il reddito viene considerato a livello professionale o imprenditoriale a tutti gli effetti, con le rispettive aliquote, per cui la somma eccedente si cumula con gli altri redditi percepiti dall’utente.
- Dati aggregati all’Istat. L’articolo 9 relativo al monitoraggio prevede la comunicazione dei dati all’Istituto nazionale di statistica da parte dei gestori delle piattaforme presenti nel registro. Per quale ragione? Per conoscere lo sviluppo e l’evoluzione dell’economia della condivisione e valutare l’efficacia delle azioni regolatorie.
La consultazione
La proposta sarà aperta da oggi fino al 31 maggio 2016 sulla piattaforma Making Speeches Talk, e tutti i commenti che verranno inseriti saranno considerati dai deputati nella stesura della versione finale della proposta di legge. Il sistema è molto semplice ed immediato, e si conta di riceverne molti. La ragione è presto detta e ben spiegata da Flavia Marzano degli Stati Generali dell’Innovazione:
Le politiche pubbliche sono raccontate male, senza entrare nel merito. E il conflitto tipico dei social media non aiuta i processi decisionali. La discussione va allargata agli stakeholder ma con uno strumento come questa piattaforma che raccolga commenti integrati, riga dopo riga, al testo proposto, per essere costruttivi.
Eccomi! #leggesharingeconomy presentata e ora parte qui consultazione on-line! @antoniopalmieri @ivancatalanodep https://t.co/9sjY3C7IqO
— Veronica Tentori (@VeronicaTentori) March 2, 2016