Quando la realtà virtuale e quella quotidiana si incontrano, non sempre sublima un effetto positivo. Quando la follia è il catalizzatore di strumenti potenti, anche il più efferato dei delitti può diventare una cosa spiegabile. A farne le spese nel caso specifico è stata una donna cinese: Rie Isogai, 31 anni, è stata rapita e uccisa senza motivo alcuno, scelta dal caso e dal destino, in un delitto che la stampa descrive progettato sul web.
La Stampa: «secondo quanto Kenji Kawaishi, un disoccupato senza fissa dimora, ha riferito alle autorità egli aveva contattato su Internet un rivenditore di giornali, Tsukasa Kanda, e un altro disoccupato, Yoshitomo Hori, per “compiere un delitto qualunque”». Il Corriere della Sera: «Kenji Kawaishi, un disoccupato senza fissa dimora, aveva contattato su Internet un rivenditore di giornali, Tsukasa Kanda, e un altro disoccupato, Yoshitomo Hori: ritrovatisi di sera in una zona appartata della periferia di Nagoya, hanno aggredito la prima passante, che è stata appunto Isogai, ammanettandola e caricandola su un’auto». Affari Italiani: «Kenji Kawaishi, un 30enne disoccupato senza fissa dimora, avrebbe trovato i due complici per il delitto navigando su internet alla ricerca di “compagni di crimine”».
Dalla cronaca dei fatti non trapela l’esatta responsabilità dello strumento in quanto successo ed alcune interpretazioni lanciano maldestre accuse al web come punto di ritrovo in grado di scatenare follie omicide o suicide secondo quanto il passato ha già insegnato. L’entità dello strumento viene soggettivizzata e la rete viene ancora una volta responsabilizzata dell’uso che menti contorte ne vanno a fare.
I fatti dicono che i tre responsabili si sono trovati sul web e sul web hanno organizzato una caccia immotivata della quale ha fatto le spese la prima passante. La simulazione della rapina non ha funzionato e durante l’interrogatorio uno dei tre ha ceduto raccontando il paradossale progetto omocida.