Neanche il tempo della sua applicazione materiale che l’equo compenso per copia privata ha già prodotto i primi effetti concreti nelle tasche dei consumatori. I rincari di Apple sembrano la risposta pavloviana di una multinazionale dotata di tutta la libertà, avendo un proprio store, per evitare dal principio ogni accredito sul conto della SIAE derivante dalla riduzione del proprio margine di guadagno. Esattamente come previsto. Tranne che dal ministro Franceschini.
Da oggi gli acquirenti italiani dei device Apple dovranno sborsare una media di 4 euro in più su iPhone, iPad e portatili. Impossibile prevedere cosa faranno le altre aziende: già in passato con la precedente versione del compenso la Apple ebbe un comportamento simile mentre altre aziende invece decisero di ridurre il proprio margine operativo. Il meccanismo che regola queste decisioni cambia a seconda dei diversi spettri d’impresa, ma sarebbe sciocco concentrarsi sui comportamenti delle singole aziende quando invece si potrebbe ancora rimuoverne la causa ora che c’è la pistola fumante.
I prezzi Apple sono una prova in più di quanto l’equo compenso modifichi il mercato interno, con incognite pericolose, dall’aumento degli acquisti dall’estero (fenomeno già osservato coi cd, distrutti da una ipertassazione anni fa) alla diminuzione degli investimenti in personale in Italia, e sullo sfondo una lotta tra industrie diverse: da una parte Confindustria Digitale, dall’altra Confindustria Cultura.
L’invito del convegno, la replica della Siae
Soltanto in Italia si poteva arrivare a una situazione così incandescente e autolesionista. Soltanto in Italia la copia privata produce un gettito così alto da superare l’intero ammontare del diritto d’autore. E sempre e soltanto in questo paese si è arrivati a considerare in modo così autoritario e burocratico il dovere di compensazione monetaria su qualunque dispositivo dotato di memoria, persino le televisioni. Non c’è più nessuna ratio in questo decreto e le parole di Elio Catania al convegno alla Camera suonano dure, ma corrette:
È un provvedimento anacronistico e antistorico. (…) Un sussidio all’industria della creatività che però pesa su un’altra industria.
Da qui l’invito a mettersi attorno a un tavolo e prendere decisioni più sensate, magari immaginando un processo decisionale non più limitato alla vigilanza dei Beni culturali, che non ha le competenze necessarie ad affrontare il tema e quindi si è dimostrato ancora una volta, dopo Bondi nel 2009, troppo influenzabile dalla SIAE: interessatissima a sostenere per conto degli autori un provvedimento tecnologicamente insensato, ma egoisticamente irrinunciabile.
Si segnala che la società ha appena risposto al “FattoQuotidiano” dando dieci risposte alle domande del columnist e avvocato che ha più volte interrogato la Siae sui conti della società. In merito ai prezzi, così replica:
Ritiene criticabile o meno il comportamento di quei produttori che vendono in Italia a prezzi più alti apparecchi (ad es. smartphone) che in altri Paesi europei (con tariffe di copia privata più elevate) sono venduti (dagli stessi produttori) a prezzi più bassi?
L’alleanza creatività-tecnologia
La vicenda della copia privata e la replica di Luca Scordino della SIAE mostrano come si paghi carissima l’assenza di un’alleanza tra il settore della creatività e quello della tecnologia. Impreparazione dei politici, parcellizzazione delle responsabilità, ossificazione delle intelligenze nominate a lavorare sul settore non fanno bene al sistema e spingono il paese sempre più giù nella classifica dell’agenda digitale europea. I due punti di vista sono stati messi l’uno contro l’altro a causa, bisogna dirlo, delle parole e degli atti illetterati e irresponsabili di troppe persone in vista, come capitato di recente, ancora, all’on. Francesco Boccia, il presidente della Commissione Bilancio della Camera, che ha giustificato il gettito definendo retoricamente l’equo compenso «presidio di tutto il mondo della creatività che in Italia, è bene ricordarlo, impiega due milioni di lavoratori».
La logica dunque quale sarebbe: che gli italiani sono tutti fanatici di cellulari e tecnologia ed è giusto tassarli per aiutare le persone intelligenti? La tecnologia è solo una scatola vuota, quindi paghi e taccia, perché è la causa della rovina degli autori? Questo è snobismo se non razzismo, e soprattutto è completamente sbagliato. La creatività può trarre vantaggio dalle grandi opportunità della tecnologia – come mostrano i dati sul consumo musicale – e se si vuole aiutare c’è già l’esempio in casa: le startup. L’Italia si è dotata di una delle policy più avanzate in Europa per sostenere l’impresa innovativa e non c’è una sola tassa in più. Era così difficile, piuttosto di inventarsi costi aggiuntivi a qualunque elettronica di consumo che in pratica non ha alcuna colpa?
Finiranno per proporre una “cloudtax”
Se le persone che condurranno questo dibattito dal lato “tecno-colpevolista” saranno le stesse anche nei prossimi anni, si finirà per assistere a un’altra proposta in stile webtax e stavolta sarà una cloudtax. È inevitabile: l’equo compenso porta 160 milioni nelle casse della SIAE e si basa sul rapporto storage-soldi; la tecnologia cloud sta portando in streaming molti contenuti, persino i libri come dimostra la nuova proposta di Amazon. Mentre qui non si riesce neppure ad armonizzare l’Iva per i libri cartacei ed elettronici, là fuori c’è chi sta spostando ancora il concetto stesso di proprietà di un contenuto, che sarà sempre più fruibile in licenza senza doverlo necessariamente possedere. Figurarsi copiare.
Allora le stesse persone che difendono a spada tratta iniziative come l’equo compenso per copia privata, di fronte alla migrazione dei contenuti sul cloud come risponderanno? Nulla di stupefacente se proponessero una tassa sullo storage online, che però è fornito da aziende multinazionali, con costi bassi, alta accessibilità e crittografia. E server all’estero. Si tornerebbe a discutere per mesi, se non anni, di proposte improbabili che coprono di ridicolo il paese nel consesso europeo. Qualcuno fermi questo scempio.