La Russia non sta portando avanti nessun programma di sorveglianza di massa paragonabile a quello della NSA americana. Così ha detto Vladimir Putin rispondendo durante una diretta televisiva a un domanda posta da un personaggio decisamente molto popolare in tutto il mondo, Edward Snowden. Intervenendo in collegamento, l’ex contractor CIA che ha dato il via al Datagate, ha chiesto al premier russo quale fosse il tipo di politica del paese sull’uso delle tecnologie più invasive e Putin ha rassicurato l’audience con un argomento piuttosto schietto: costano troppo.
Chissà se quando durante la conferenza stampa-fiume del primo ministro russo è intervenuto proprio l’uomo che ha permesso al Guardian e al Washington Post di vincere il Pulitzer, Putin si attendeva la domanda? Resta il fatto che il primo scambio sembra uscito da una sceneggiatura:
SNOWDEN: La Russia intercetta, conserva o analizza le comunicazioni di milioni di persone?
PUTIN: Signor Snowden, lei è un ex agente, una spia, ho lavorato anch’io per un servizio di intelligence (il Kgb, nda), ci accingiamo a parlare la stessa lingua.
Il premier russo ha così spiegato che il suo paese non ha un programma di intelligence confrontabile tecnologicamente con quello americano, specificando anche che si deve ottenere un permesso dalla Corte per mettere un individuo sotto sorveglianza. Pur condividendo le preoccupazioni di Barack Obama sull’antiterrorismo, Putin ne fa anche una questione di costi/opportunità:
Dobbiamo usare mezzi tecnici per rispondere a certi tipi di criminalità, compresi quelli di natura terroristica, e abbiamo alcune iniziative del genere. Ma non facciamo un controllo di massa. Spero che non lo facciamo: non abbiamo i soldi degli Stati Uniti.
Lo scetticismo e la morale della vicenda
Ovviamente è fin troppo facile fare dell’ironia sulla credibilità di un politico come Vladimir Putin, anche nello specifico delle tecnologie adoperate: le potenze occidentali hanno più volte svelato le funzionalità del firewall cinese e del SORM russo, quest’ultimo una versione che si potrebbe considerare precedente all’avanguardia di NSA e GCHQ, ma in grado comunque di catturare e analizzare i metadati telefonici.
Giusta la riflessione della giornalista italiana Stefania Maurizi (tra i pochi giornalisti al mondo a poter lavorare sul materiale direttamente messo a disposizione da Assange e Snowden) che discutendo su Twitter delle dichiarazioni del whistleblower e di quanto si sia più o meno fatto strumentalizzare, supera la questione concentrandosi sul pericolo della sorveglianza in sé, sempre evolutosi tecnologicamente nei diversi regimi della storia:
Vorrei un dibattito serio sulla sorveglianza di massa, non le solite risse imbevute di propaganda. Nella Germania dell’Est erano ridotti a incontrarsi e parlare nei campi nudisti per sfuggire ai microfoni della Stasi. Oggi neppure incontrarsi ai campi nudisti ci proteggerebbe dalla sorveglianza. O lo capiamo e interveniamo, oppure la nostra vita da uomini liberi sarà finita per sempre. Questa è l’ultima chiamata.
La morale di Putin è in effetti molto più spregiudicata di quanto sembri: esistono diversi livelli di sorveglianza a seconda del livello di sviluppo tecnico e democratico di un paese. Il fatto che gli Usa abbiano portato a livelli impensabili questo tipo di sorveglianza ha a che vedere con la necessità di mantenere un approccio – paradossalmente – invisibile, pseudo democratico, indolore (fintantoché non è stato svelato). Ma in Russia, attualmente, ce n’è bisogno?