Si continua a discutere negli USA, ma non solo ovviamente, circa il ruolo che nella moderna società assumono questi nuovi strumenti di comunicazione “social” quali Facebook, YouTube, Twitter e simili.
Nel dibattito rientra di diritto la recente sentenza che ha condannato tre dirigenti di Google proprio per fatti di violenza diffusi tramite Internet, una sentenza molto criticata negli Stati Uniti e soprattutto dalla stessa Google, che ha parlato di pericolo per la libertà del Web nel Belpaese.
A prescindere dalle diverse posizioni, ciò che pare di capire, stando alle tendenze osservate negli USA, è che il cyberbullismo, o comunque l’utilizzo dei nuovi media per mettere in evidenza atteggiamenti di violenza, sia uno dei maggiori pericoli del Web 2.0.
Al di là dell’Atlantico non sono stati rari i casi di ragazzi, utenti di social network, arrivati addirittura al suicidio a causa delle pressioni e delle prevaricazioni subite via Internet da coetanei, mostrando come il problema sia veramente un fenomeno sociale allarmante, tanto da portare a gesti così estremi dei ragazzi adolescenti.
Dal loro punto di vista, i responsabili di MySpace, Facebook o la stessa Google hanno assicurato, e continuano ad assicurare, la massima vigilanza nel censurare immediatamente simili comportamenti, anche se, per quanto indiscussa possa essere la volontà o la disponibilità dei provider, il fenomeno non sembra facilmente arginabile a causa dell’enorme volume di utenza e di traffico generato da questi portali.
Il dibattito apre quindi un fronte spinoso, che si va a ricollegare alla sentenza milanese cui accennavamo prima. Il punto è quello di riuscire a conciliare la sicurezza per gli utenti, cosa assolutamente indispensabile, con il ruolo dei fornitori del servizio, i quali si dicono aperti a ogni intervento rifiutando, con le proprie ragioni, il ruolo di “sceriffi del Web” e soprattutto negando la possibilità di applicare qualsivoglia censura preventiva sui contenuti inseriti dagli utenti.
Nel mondo virtuale si va replicando quindi, a nostro modo di vedere, una società digitale che è l’esatta copia della società “reale”, con i propri pericoli, le proprie convinzioni, la propria centralità e le proprie contraddizioni, quelle contraddizioni che vorrebbero unire sicurezza a libertà, evitando, se possibile, le derive pericolose che vedrebbero sfociare queste ultime rispettivamente in repressione e anarchia. Si troverà mai un punto di equilibrio per raggiungere sul Web quella società virtuale perfetta, in stile “La Città del sole”, che nel mondo reale non si è ancora riuscita a costruire?