Alla fine se ne sono andati mantenendo tutti le loro posizioni alla medesima distanza. L’incontro di oggi, preannunciato dal ministro Dario Franceschini, ha visto allo stesso tavolo molti degli attori coinvolti nella questione equo compenso per copia privata. Una delle polemiche più accese e inveterate del mondo della Rete e del diritto d’autore. L’unica certezza, ormai, è che Franceschini farà il suo decreto, pur con 18 mesi di ritardo, e che conterrà le tabelle con le nuove “tasse” che peseranno sui dispositivi.
Produttori, consumatori, detentori di diritti: si sono trovati tutti al MIBACT con Franceschini nello scomodo ruolo di terza parte. Nelle due ore di incontro pare siano volate anche parole grosse, soprattutto quando si è commentato il sondaggio sulla copia privata (pdf) che diede mandato di fare il predecessore, Massimo Bray, quando emerse per la prima volta il problema delle pressioni degli autori e dei detentori per il rinnovamento delle tabelle. L’argomento fu al centro anche di una petizione per l’aumento delle tariffe che in molti commentatori alimentò una domanda rimasta prima di oggi senza risposta: che farà il ministro?
Il sondaggio smentisce alcuni luoghi comuni
Sembra che attorno a quel tavolo al ministero i grafici e i numeri del sondaggio abbiano scatenato delle diatribe. Secondo i detrattori le statistiche sono influenzate dal numero basso del campione (poco più di mille) e dal fatto che si tratta di persone con una certa conoscenza di Internet, alzando il livello di abilità e di conoscenza delle varie tecniche di utilizzo dei contenuti multimediale. Resta però interessante notare che il sondaggio ha il pregio di smentire alcuni luoghi comuni.
Ad esempio, tendenzialmente le copie si generano soltanto nel momento in cui ce n’è effettiva necessità (59,2%). Anche tra coloro che acquisiscono prodotti dell’ingegno via Internet in maniera più continuativa la percentuale è molto alta (48,8%). L’abitudine a creare, almeno sistematicamente, una seconda copia del materiale acquisito, è relativamente poco diffusa (13,5%), tanto che il 20,3% del campione dichiara di non far uso di copie private.
L’atteggiamento nei confronti delle copie private non è mutato sensibilmente nel corso degli ultimi tre anni: l’opzione di gran lunga primaria è sempre rimasta il salvataggio sul supporto fisico, seguita da un eventuale nuovo download del materiale perso. In espansione negli ultimi anni è l’utilizzo di servizi di archiviazione cloud. Nel caso in cui comunque si faccia copia privata, come prevedibile, è sempre il personal computer il principale dispositivo attraverso il quale si generano le nuove copie (69,4%), che vengono di solito salvate su un supporto fisico (63,4%).
La decisione del ministro
«Lo aggiornerò anche a costo di prendere fischi». Così disse il ministro presentando alla stampa i nuovi componenti del Consiglio Superiore dei Beni culturali. Era l’8 aprile, ormai i tempi per le nuove tabelle erano scaduti da troppo tempo. Pur annunciando il tavolo di confronto – avvenuto oggi – era chiaro che l’adeguamento ci sarebbe stato, anche per parere del ministro che si è sempre detto convinto della natura del diritto d’autore quale forza economica del settore, rispetto a chi si preoccupa del sostegno alle Itc. Così, poco fa è arrivato il comunicato che rompe gli indugi:
Il Ministro, già a conoscenza delle posizioni manifestate dalle parti, ha invitato tutti alla ricerca di una soluzione condivisa. Dopo aver ascoltato gli interventi dei rappresentanti delle associazioni, il ministro, preso atto della distanza ancora esistente tra le differenti posizioni, ha annunciato che a seguito di un parere del comitato consultivo, dovrà comunque emanare, anche in assenza di un’intesa, il relativo decreto ministeriale, così come previsto dalla legge.
Le critiche
Tra interpellanza, petizioni, proteste, marce indietro e scontri, l’equo compenso è arrivato sino a questo punto di scelta irreversibile. La tassa sullo smartphone e il tablet diventerà una realtà, in molti casi il prezzo sarà adeguato verso l’alto, anche del 500%. Forse il commento più sintetico sul tema è quello di Luca De Biase, qualche tempo fa sul Sole24Ore:
È pacifico che si debba chiedere di pagare il copyright a chi compra un contenuto autoriale. Ma per quale motivo lo dovrebbe pagare chi compra una memoria elettronica. Il rapporto tra memorie elettroniche e copyright non è diretto e non è automatico: la memoria si può usare per molte cose diverse dalla memorizzazione del copyright. Difficile ammettere che, come dice qualcuno, non sia una tassa: è una tassa perché la pagano tutti anche coloro che non devono compensare niente e nessuno perché non fanno nessun utilizzo di copyright.
Riassumendo: non può essere un compenso per la pirateria perché lo dice la Corte di giustizia. Non può essere un compenso per la copia privata perché molti non fanno copie private ma lo devono pagare lo stesso. Quindi delle due l’una: o non è un compenso o non è equo.
Chi c’era al tavolo e un retroscena
Al tavolo del ministero, oltre a Franceschini, c’erano una trentina di associazioni e interessi rappresentate da diverse persone, tra i quali il presidente di Andec Confcommercio, Maurizio Iorio, Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, il regista Daniele Luchetti per gli autori di cinema, e naturalmente Gino Paoli, della SIAE. Gli uni contro gli altri, industria dei contenuti da una parte e industria delle tecnologie insieme ai consumatori dall’altra, non c’è stato verso di trovare un accordo, ma per alcuni di loro non era la prima volta al ministero.
Si racconta infatti che alcuni mesi fa il presidente della SIAE si fosse presentato con un tariffario già pronto dal ministro Bray, il quale, non avendo capito subito che si trattava di una piccola forzatura, era inizialmente pronto ad aggiornare le tabelle “su dettatura”. Quando però il Corriere della sera pubblicò quelle cifre l’allora presidente di Confindustria Digitale, Stefano Parisi, corse al ministero e si interruppe tutto il processo. Così nacque l’idea del sondaggio, per calmare le acque e rimandare al nuovo governo Renzi.
Il tariffario
Non esistono ancora le cifre ufficiali, dato che Dario Franceschini ha piena libertà di lavorare sull’aggiornamento delle tabelle 2009 partendo dai dati in suo possesso e può farlo con un semplice DM, decreto ministeriale, senza passare dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento. Le voci di corridoio parlano comunque di questi range (senza Iva):
- Smartphone: 4 euro
- Tablet: 3,80 / 4 euro
- Pc desktop e notebook: 4 / 4,50 euro
- Smart Tv: 3 euro
- Cellulari vecchia generazione: 0,50 euro